Walter Riolfi sul
Sole-24Ore di sabato 3 novembre 2013 racconta come Paul Singer, fondatore di Elliot
Management, un sofisticato hedge fund di New York, sia disperato: “Il suo fondo
guadagna poco di questi tempi e l’ultimo dei piccoli investitori, comprandosi
un Etf sull’indice, fa di gran lunga meglio” (pag. 30). Ma chi ha la memoria
lunga ricorda che anche nel 1999-2000 e nel 2006-2008 qualsiasi piccolo
investitore poteva far meglio dei grandi nomi della finanza: bastava comprare
senza farsi problemi. Nel 1999-2000 e nel 2006-2008 si erano inventate delle
teorie per giustificare gli scostamenti esuberanti rispetto alla media storica
dei rapporti p/u. Oggi invece ci si limita a sperare che la Fed continui a
rinviare il temuto “tapering”, parola ignorata dai più fino a qualche mese fa
(la sua origine è collegata al termine inglese antico candela, e allude alo
spegnersi graduale, cioè all’affievolirsi della luce di una candela quando sta
per finire: di qui il significato attuale di “riduzione graduale”).
Come mai le persone non
imparano mai? Perché attribuiscono, nei momenti di euforia, i guadagni alla loro
abilità e, quando le cose vanno poi male, incolpano presunte cause esterne e
non ricorrono al più ovvio meccanismo di “regressione verso la media”? Lo
stesso meccanismo che li aveva prima beneficiati. Questa risposta va collegata
a quello che gli psicologi chiamano errore fondamentale di attribuzione. Esso
consiste in una semplice asimmetria. Noi tendiamo a sopravvalutare, nello
spiegare il comportamento altrui, le doti e le caratteristiche permanenti delle
persone e sottovalutiamo il peso delle circostanze in cui queste persone si
sono trovate ad agire. In realtà, se cambia il contesto, cambia anche il
comportamento. In particolare, quando le cose vanno bene attribuiamo a noi il
merito, cioè alle nostre doti e abilità. Si tratta di attributi per lo più
permanenti e stabili. Quando invece le cose vanno male, la colpa è degli altri,
degli eventi esterni, di fattori imprevedibili e al di fuori del nostro
controllo.
Questa capacità di trovare
capri espiatori esterni ci rende meno infelici e più sicuri di noi stessi. E
così, molte volte, finisce poi effettivamente per far andare meglio le cose.
Morale: l’errore fondamentale di attribuzione, cioè il prendersi più meriti di
quelli che sarebbe statisticamente corretto fare, è un errore che ci fa del
bene, una sorta di placebo, meglio un’illusione benefica, secondo la
distinzione che ho spiegato molte volte. E tuttavia questa “comoda” asimmetria
può sfociare in alcuni abbagli.
Il nostro rapporto con la
Borsa è un buon esempio di tali abbagli. Consideriamo il periodo dal dicembre
1996 al giugno 1997, in cui la Borsa americana e tedesca salirono di circa il
30%. In questo periodo era facile sentirsi bravi. Gli esperti tendevano ad
attribuire il buon andamento dei portafogli alle loro personali conoscenze e
abilità. Ma le cose stavano veramente così? Di chi era in realtà il merito?
Un’interessante ricerca di
Borges e di altri ricercatori appartenenti al gruppo di Gigerenzer, uno
psicologo che dirige il centro Max Planck di Berlino, ci permette di sollevare
qualche dubbio, come mostreremo nella lezione della prossima settimana. Per ora
imitiamoci, ancora una volta, a sottolineare l’importanza del non fare di testa
nostra e la convenienza di rivolgersi a un esperto.
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