La consulenza finanziaria è
un tipo di consulenza ben diversa dalle altre. Non solo l’esperto deve essere relativamente
sicuro di quel che fa sul portafoglio del cliente, ma deve anche trasmettere
sicurezza al cliente stesso.
Le due cose non coincidono
necessariamente. In genere quando si diventa esperti, in molti campi,
l’overconfidence diminuisce perché se ne sono viste tante.
Si tratta in particolare di
quei tipi di consulenza in cui veniamo puniti duramente dalle conseguenze di
questo meccanismo, e cioè dare al cliente previsioni più sicure rispetto a
quelle che siamo legittimati a fare.
Per esempio, i trivellatori
di pozzi di petrolio sono sottoposti ad analisi costi-benefici dei tentativi
fatti (sono costosi!) e dei successi ottenuti.
Questo rapporto è
facilmente quantificabile e noi impariamo a poco a poco ad essere perfettamente
calibrati.
Nella vita, in generale,
questi sono casi rari. Per i nostri scopi dobbiamo domandarci: che senso ha
questa tendenza della mente umana? Se nel campo della consulenza finanziaria è
fuorviante, lo è anche altrove? In altre parole, se tutti siamo un po’
indulgenti con noi stessi, e pecchiamo di overconfidence, qual è l’origine di
questo vizio, modesto e perdonabile se praticato in dosi modiche?
In primo luogo, va
ricordato che questa tendenza ci rende più sicuri, aumenta l’autostima nella
misura in cui riduce soggettivamente la nostra incertezza.
In un mondo ostile e
incerto, quello in cui si è evoluta la mente umana, l’overconfidence ci
spingeva all’intraprendenza e all’audacia (oggi diremmo “imprenditorialità”).
Questa inclinazione alla sicurezza è propedeutica all’azione rischiosa, di cui
sottovalutiamo il pericolo.
Intere banche hanno
vacillato per l’overconfidence di un singolo operatore. Ricordate il caso di
Societé Générale?
Jerôme Kerviel è diventato
addirittura oggetto di un libro: in lui c’era sovra-fiducia da parte della
banca e lui, a sua volta, aveva acquisito una fiducia eccessiva nelle sue
capacità.
Anche nel mondo odierno,
non il mondo dei cacciatori-raccoglitori cha ha plasmato la mente umana, vedere
la “vie en rose”, con gli occhi dell’overconfidence, rivela una realtà che ci
riserva più sorprese, più imprevisti, insomma un mondo più divertente e meno
piatto.
In terzo luogo, questa
distorsione, beninteso in forme lievi, ci rende più sicuri di noi stessi se
svolgiamo quella forma speciale di consulenza che è la consulenza finanziaria.
Ci trasforma in consulenti che instaurano una migliore relazione con il
cliente.
Certo, come ho già detto,
l’overconfidence può divenire, se eccessiva, una trappola micidiale.
Considerate, per esempio, il caso delle IPO (Initial Public Offering), e cioè
le matricole che vengono messe per la prima volta sul mercato. Come mai, si
domanda Marco Liera, l’esperto del Sole-24Ore, ci si attende spesso di
guadagnare con certezza aderendo alle IPO?
Questo è un classico caso
di overconfidence, tanto più forte quante più asimmetrie sono presenti negli
sbarchi sui listini. Di un nuovo titolo si sa solo quello che ci dice chi lo
vuol vendere e noi dobbiamo (vogliamo?) credergli.
In realtà i dati aggregati
non confortano tale overconfidence . Nei collocamenti su Piazza Affari, dal
1999 a oggi, la maggioranza delle società quotano, dopo un anno, sotto il
prezzo di IPO.
L’altro aspetto cruciale,
forse il più interessante dal punto di vista della consulenza finanziaria,
emerge quando dalle risposte individuali, si passa alla risposta collettiva.
Come si fa?
Provate ad aggregare gli
intervalli di chi ha partecipato all’esperimento e a costruire la risposta
media.
L’intervallo medio,
ottenuto facendo la media degli intervalli forniti dai singoli membri di una
classe di trenta consulenti, è pressoché imbattibile dalla maggioranza delle
singole persone che hanno fatto l’esercizio in aula. Mentre in ogni aula,
composta di circa venti consulenti, la media degli errori individuali va da 3 a 4, se costruite
l’intervallo medio dell’aula ottenete quel calibro esatto di cui nessuno di per
sé è fornito. Non è vero che, in una classe, metà fa meglio e metà fa peggio
della media. Non siamo a scuola. In questo esercizio gli errori individuali si
compensano nella prestazione collettiva (il che a scuola e nei quiz non
succede). Se, per esempio, una persona stima la lunghezza del Po da 600 a 640,
e un’altra da 700 a 750, aggregando i due intervalli sbagliati se ne ottiene
uno giusto.
E’ un meccanismo assai
semplice quello che fa sì che la risposta media, che emerge da una sorta di
mercato dell’incertezza, sia molto più precisa delle risposte fornite dalla
grande maggioranza di chi partecipa.
Questo fenomeno, per
l’appunto fenomenale, è incomprensibile ai clienti. Questi tendono a giudicare
sempre quello che è l’andamento del loro portafoglio, come se non ci fosse
null’altro al mondo. E quindi sfugge loro che l’incertezza, una volta
aggregata, è inferiore a quella del singolo operatore, ad esempio il loro
consulente. In altre parole, si confrontano due entità incommensurabili, senza
rendersene conto.
I clienti, anche se hanno
un portafoglio ben diversificato, rimpiangono talvolta di non averlo
“diversificato male”, mettendo nel portafoglio solo quello che, a posteriori,
ha subito più incrementi. Meccanismo mentale molto umano, troppo umano!
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