USA. IL DADO E’ TRATTO, TASSI IN RIALZO
La settimana scorsa eravamo in attesa delle
decisioni della FED sui tassi di interesse; mantenimento o rialzo? Rialzo è stata la decisione e tassi portati
nel range
1%-1,25%; la Yellen ha inoltre confermato i tre rialzi nel 2017 il che
significa che dovremmo attendercene un altro da qui a fine anno.
Qualche perplessità tuttavia rimane, dato che
l’economia Usa non gira come ci si attendeva e la posizione del suo presidente
si è indebolita; le attese di crescita sono subordinate alle sue decisioni in
materia fiscale e un suo impeachment lo impedirebbe. Non solo, ma qualche dato economico
fa propendere per un quadro economico meno roseo.
In Usa i dati sulle vendite al dettaglio scendono
dello 0,3% e sappiamo che i consumi rappresentano un potente volano per la
crescita statunitense; il mercato del lavoro sta a sua volta rallentando e si
comincia a considerare il livello dei prezzi raggiunto nel settore dei titoli tecnologici.
Bolla in arrivo, ci si chiede?
La reazione dei mercati è stata al momento
coerente con questo quadro. Fatta eccezione per la borsa svizzera e di un
sostanziale mantenimento dell’indice S&P 500, tutti gli indici hanno virato
in negativo pur mantenendo ancora un’intonazione positiva. Non si sono fatti
drammi ma si comincia a valutare l’ipotesi che ci si possa allontanare dalle
attuali quotazioni; nondimeno la tanto auspicata crescita delle borse europee
si è momentaneamente arrestata e gli operatori stanno valutando il quadro di
riferimento. Se da un lato spostare la domanda dagli indici americani in favore
di occasioni di acquisto nel vecchio continente ha certamente senso, va anche valutato
che un rallentamento della “locomotiva” America sarebbe un freno anche per la
crescita europea.
A parte i risultati ancora contenuti di Shangai
e dell’indice Bovespa al palo per ragioni diverse, la prima per il perdurante
stallo nella crescita e la seconda per un intreccio di ragioni più politiche
che, al momento, economiche, a due settimane dal giro di boa di metà anno la
situazione è piuttosto confortante con quattro indici contraddistinti da rialzi
a due cifre e altri sei con performance tra il 5 e il 10%. Da qui a fine mese si
potrà meglio comprendere se questo trend proseguirà in modo piuttosto lineare o
se dovremo assistere a qualche correzione.
Sui mercati valutari è proseguito il leggero
indebolimento dell’euro che resta comunque in apprezzamento da inizio anno su
tutte le valute del nostro paniere, in modo particolare sul biglietto verde. Da
gennaio infatti l’apprezzamento sul dollaro è pari al 6,5% nonostante l’allontanamento
dai massimi nelle ultime due settimane.
Una certa forza permane anche contro la valuta
cinese, svalutata sull’euro del 4,5% da inizio anno cosa che non favorisce
certo la penetrazione commerciale delle merci europee in quell’area tanto
importante come mercato di sbocco per le produzioni a maggiore valore aggiunto
e dei beni di lusso mentre favorisce ancora di più l’importazione delle
produzioni di massa cinesi.
Vediamo dunque il trend da inizio anno del
rapporto dollaro-euro:
Nelle ultime due settimane, sulla scorta delle
decisioni prese dalle banche centrali e dei timori di alcuni operatori di una
possibile correzione dei listini azionari, abbiamo assistito a una pressione in
acquisto dei bond che costituiscono il nostro paniere di riferimento.
Il rendimento del btp decennale è scivolato
sotto il 2%, rendimento che non vedevamo dalla prima settimana di gennaio e i
corrispondenti titoli francesi e britannici hanno raggiunto i minimi dell’anno
(i primi a 0,64% e quelli d’oltremanica in area 1%). Stessa sorte è toccata al
bond americano che in settimana ha ridotto la propria remunerazione al 2,16%
(minimo annuale) nonostante il rialzo della Fed, decisione evidentemente data
per scontata dal mercato.
La Germania fa eccezione remunerando gli
investitori con un modestissimo 0,28%, ma che resta del 30% più elevato
rispetto al suo minimo registrato fra l’inizio di gennaio ed ora (0,18%). Spicca
infine la forte riduzione dello spread fra btp e bund tedesco che, dopo i
picchi dei mesi scorsi, si è ridotto a poco più di 170 bp nell’ultima seduta.
Per una migliore comprensione del quadro
relativo ai rendimenti dei titoli governativi, abbiamo riportato, nel grafico
seguente, i rendimenti correnti confrontati con quelli di inizio anno.
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