I dati macro giunti in settimana hanno favorito
un ulteriore rialzo dei listini azionari dei paesi più industrializzati,
Giappone in testa a cui si accodano i listini della Germania e quelli
americani; l’unica piazza a non accodarsi alla ventata di ottimismo
è stata
quella milanese che ha chiuso con un ribasso dell’1,33%. A tenere compagnia in
area negativa la borsa italiana solamente le borse di San Paolo e Mosca, messa sotto
pressione dalle vicende politiche la prima e dalla debolezza delle risorse
energetiche fossili la seconda. Chiude con una negatività marginale Shangai. Un
“bric anomalo” pertanto, con l’Italia a sostituire l’India.
In territorio positivo tutti gli altri indici
del paniere e gli ennesimi nuovi record storici per gli indici di Mumbay, Nasdaq,
S&P 500 e Msci World; si tratta di una costante di cui ormai stiamo
perdendo il conto.
Sembrerebbe quasi che si vogliano sfruttare
sino all’ultimo istante le enormi disponibilità liquide create dalle banche
centrali prima che inizi l’inversione di marcia, complici le parole di Draghi e
i rendimenti dei bond americani che non sembrano preludere a un ritocco dei
tassi di interesse. A ciò si aggiunga la debolezza del biglietto verde che da
inizio anno ha lasciato sul campo il 7,5% contro l’euro, alla faccia dei timori
di un suo schianto che aleggiavano sui mercati a inizio anno.
Vediamo dunque le performance azionarie dal
primo di gennaio:
L’unica borsa in forte flessione è quella
moscovita, il cui ribasso sfiora ormai il 10% mentre, con l’eccezione di
Shangai e del Brasile che registrano una contenuta positività, tutti gli indici
del paniere superano il 5% e ben 5 di essi hanno corrisposto agli investitori
rendimenti superiori al 10%.
L’Euro, per ciò che concerne il mercato
valutario, conferma la sua forza nei confronti delle quattro valute del paniere
– in particolare sul dollaro statunitense e sullo yuan cinese. Sottolineiamo
che la debolezza del dollaro non sussiste solamente nei confronti della moneta
comunitaria ma è strutturale anche nei confronti delle altre valute. I rapporti
fra dollaro e le principali valute sono ormai ai livelli di ottobre 2016 quando
eravamo in prossimità delle elezioni americane e il motivo - con grande
probabilità - sta nello stallo politico nel quale si sta progressivamente
infilando Trump a scapito della crescita da lui ventilata (e promessa) durante
la sua campagna elettorale.
Se da un lato sui mercati azionari sono
proseguiti gli acquisti la stessa cosa è avvenuta sul versante dei bond
governativi nella convinzione che i tassi rimarranno per ora stabili e che in
Europa il flusso di aiuti monetari permarrà ancora per mesi; confidando dunque
nell’assenza di turbolenze sui bond ecco proseguire anche su quest’asset il
flusso di denaro.
Questo trend ha compresso in settimana i
rendimenti dei bond decennali statunitensi portandoli ai minimi da inizio anno (2,16%)
come pure rimangono schiacciati i titoli di pari durata britannici (1,07%).
Risalgono invece i btp italiani al 2,26% e di conseguenza, con il rendimento
del bund ancora in discesa, lo spread si riporta in area 200, per la precisione
a 198,90.
Nessun commento:
Posta un commento