sabato 21 febbraio 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 117 - Come comunicare con tatto al cliente che i risparmi sono concentrati


Nella lezione precedente abbiamo argomentato lungo una sequenza di D: deflazione, divario tra necessità di oggi e fai-da te del passato, delicatezza, diversificazione. Più specificatamente abbiamo esaminato i motivi per cui un gestore non sa individuare a priori i migliori investimenti e, quindi, il consulente non ci darà – a differenza di altri professionisti – la migliore risposta, ma le migliori risposte, cioè un portafoglio ben D-iversificato.

Mentre un tennista, un golfista o un motociclista, che è in vetta alla graduatoria mondiale, tende a far bene in molte delle gare nel corso di un campionato, perché è effettivamente più abile degli altri, non siamo sicuri che le cose funzionino così nel caso dei gestori, almeno se il campionato dura dal 2007 al 2013, come si è visto alla fine della lezione precedente. Sta di fatto che, se anche riuscissimo a definire il profilo del bravo gestore, e non del più fortunato, questa definizione non sarebbe sufficiente per i tempi lunghi, quelli cioè che interessano i risparmiatori. Bisogna affidarsi a un consulente. Va anche precisato, tuttavia, che la speranza non muore mai. Anche in un mercato antico, e quindi teoricamente smagato, come quello statunitense, la maggioranza delle persone continua a sperare di poter affidarsi a un gestore che è meglio della media. Ed è comprensibile: alle persone non importa la media dei gestori, come nella ricerca di Porter e Trifts che abbiamo visto nella lezione precedente. Alle persone importa quello che fa il “proprio” gestore, se decide di affidarsi a uno specifico gestore. Spesso poi non ha un gestore, ma un consulente, e il consulente si affida a più prodotti e, talvolta, a più di un gestore nel costruire e fare manutenzione di un portafoglio differenziato. Per ora possiamo dire che la ricerca di Porter e Trifts, che aggiorna e conferma in dettaglio quanto già si sapeva (cfr. Legrenzi, 2006, 2011), ci ricorda l’importanza del consulente rispetto al gestore. Se il singolo gestore non sa prevedere in modo sistematico, cioè sui tempi medi, quali siano i migliori investimenti anno dopo anno, diventa cruciale il ruolo del consulente.
Il consulente, meglio di un gestore che talvolta è “affezionato” alle sue scelte, può indurci a frazionare i nostri risparmi in prodotti finanziari creati da gestori diversi. Disponiamo così di un altro ottimo argomento per costruire una relazione onesta e duratura con i nuovi clienti. Approfondiremo questi punti nelle prossime lezioni.
La speranza non muore mai: la speranza di trovare un gestore che sappia fare meglio degli altri. A dire il vero anche la stampa specializzata può indurci a non capire bene che abbiamo a che fare con quelli che ho chiamato “esperti speciali”, perché non hanno “la risposta giusta” ma “le risposte giuste”. La differenza tra il singolare e il plurale è cruciale. Ad esempio, Plus 24, il supplemento al Sole24Ore di sabato 27 dicembre 2014, apre con una grande titolo in prima pagina: “Dove investire nel 2015?”. Ma poi, sotto il titolo, subito corregge l’assertività fuorviante del titolo. Un disegno auto-ironico accompagna la promessa del titolo: esso mostra una mano i cui segni possono essere letti da un chiromante (dal gr. tardo kheirómantis: ‘indovino per mezzo delle mani’). Poi, all’interno di Plus, il forum dei principali gestori è molto cauto, più cauto del corrispondente forum del 2013 dove tutti consigliavano (come peraltro quest’anno) di puntare sulle azioni europee, e non su quelle statunitensi che già un anno fa erano più care (in termini prezzi/utili). E poi abbiamo visto come sono andate le cose, a dispetto delle previsioni di un anno fa!
Noi dobbiamo comunque cercare di far accettare al nostro cliente che, nel caso dei risparmi, abbiamo a che fare con un “esperto speciale”. Un esperto cioè che non conosce ogni volta le risposte alla nostra domanda: qual è ora il miglior investimento? Se tale consapevolezza non è maturata nella testa e nel cuore di un risparmiatore, allora sarà inevitabilmente deluso dal mondo degli esperti, e sarà forte la tentazione di fare di testa propria.
Quando poi le sue scelte personali non producono gli effetti sperati, spesso il risparmiatore prende paura e tende a rifugiarsi in ciò che è più noto e familiare.
La fiducia frettolosa nelle nostre intuizioni ha condotto a una concentrazione estrema dei risparmi. Sono per due terzi immobilizzati in case, e, per il resto, legati, per almeno il 90%, ai destini dell’Italia. E questa scelta non deriva purtroppo da un sentimento generoso di patriottismo, dal voler aiutare con i propri risparmi le sorti di un paese vacillante. Al contrario, oggi molti sono disillusi e pentiti delle scelte del passato, ad esempio la casa non piace più. In sintesi, con le parole di Marco Liera (2014):
La colossale disillusione nei confronti dell’investimento in immobili è dovuta al noto mix nocivo di impennata delle imposte, ciclo negativo dei prezzi e delle transazioni, incremento delle morosità tra i conduttori, aumento dello sfitto. Varie condizioni insostenibili sono venute meno: l’uso degli immobili come allocazione del “nero”, i limiti all’investimento all’estero in vigore fino al 1990, l’inflazione alle stelle degli anni 70 e 80, l’ignoranza delle alternative di impiego, la modesta consulenza finanziaria di vari intermediari finanziari …
Un consulente razionale non avrebbe mai legato il 90% dei risparmi al destino di un singolo paese, e per di più piccolo. E tutto ciò dipende, alla fin fine, da come funziona la nozione di controllo. Siamo delusi dallo scoprire che un consulente non ha le cose sotto controllo nel senso che noi diamo a questo termine e, per converso, evitiamo di capire che noi le controlliamo ancora meno stendendo un velo d’ignoranza sulle conseguenze delle nostre scelte.
Il dato più curioso è che abbiamo messo quasi un secolo a riconoscere quanto le nostre intuizioni siano fuorvianti nel caso dei risparmi e, più in generale, quelle degli economisti in campo economico. Anche se, per la verità, qualche economista aveva cercato di mettere in guardia i colleghi. Già nel 1918, quasi un secolo prima che lo psicologo Daniel Kahneman venisse premiato con il Nobel dagli economisti, John Maurice Clark (1884-1963), che sarebbe diventato nel 1935 presidente dell’American Economic Association, scriveva:
Il solo modo con cui un economista può evitare di duplicare il lavoro degli psicologi consiste nello studiare la psicologia degli specialisti. Affidarsi semplicemente alle scelte degli individui, senza capire i motivi che ci stanno dietro, può sembrare agli economisti un modo per liberarsi della psicologia … Qualsiasi definizione di natura umana implica delle presupposizioni psicologiche, implicite o esplicite. Solo se l’economista prende a prestito la concezione dell’uomo dagli psicologi, la sua costruzione teorica potrà avere un carattere esclusivamente economico. Se però non lo farà, non eviterà per questo la psicologia. Piuttosto sarà costretto a fidarsi della “sua psicologia”, e questa sarà una cattiva psicologia (p. 4).

Oggi a distanza di ottant’anni da queste profetiche parole non siamo ancora riusciti a sostituire la psicologia ingenua con quella scientifica. E una delle conseguenze è, purtroppo, il fatto che molti risparmiatori sono ancora vittime di un concetto ingenuo di diversificazione: un po’ di qua e un po’ di là! Un grande fallimento delle scienze cognitive, come spiegherò nel mio prossimo libro “Sei esercizi facili” (che uscirà in aprile per i tipi de l’editore Raffaello Cortina).

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