Cari
lettori (e consulenti), in queste settimane sto girando per l’Italia. E vi
ringrazio perché posso incontrarvi di persona, non solo con questa missiva, che
talvolta mi fa pensare a una lettera messa in una bottiglia, abbandonata alle
correnti del mare. Incontrarvi di persona è altra cosa. Talvolta mi si domanda
come mai, a 72 anni compiuti, intraprenda questi viaggi per vedervi e parlarvi
(anche se sono in buona compagnia). E allora, per una volta, visto che nel 2014
non ho partecipato agli incontri se non saltuariamente (in compenso ho scritto
due libri), lasciatemi tessere un elogio della vostra professione, che è
indirettamente anche una spiegazione del mio girovagare.
Una professione, la
vostra, unica al mondo, dal mio punto di vista (vi invidio forse?). Per
argomentare questo elogio lasciatemi raccontare una storia (ai vecchi, ma non
solo a loro, piacciono le storie).
Un quarto di secolo fa andavo su e giù da Princeton,
in aeroporti e aerei semivuoti e comodissimi, perché si stava svolgendo la
prima guerra del Golfo. Mi capitò di leggere, forse in un ufficio
dell’università, questa scritta:
“The cold war is
over and the University of Chicago won it”.
La frase “la guerra fredda è finita
e l’università di Chicago l’ha vinta” è stata attribuita a George Stigler. Con
quella frase Stigler alludeva a due fatti: la caduta del muro di Berlino, di
cui abbiamo appena celebrato il venticinquennale, e il fatto che l’università
di Chicago, zeppa di premi Nobel, era stata il bastione pluridecennale dei
vantaggi dei liberi mercati (cfr., in rete le memorie della moglie Rose di
Milton Friedman, uno dei tre moschettieri di Chicago, quelli che hanno
contribuito a cambiare gli scenari dell’economia).
Personalmente ho sempre pensato che
uno psicologo che conosca i rapporti tra psicologia ed economia non possa non
essere liberista. Sappiamo bene che il sistema dei prezzi, in liberi mercati, è
sorgente assai ricca di informazioni sulle preferenze e i comportamenti delle
persone. Perché allora farne a meno? Non ho titolo per approfondire, non
essendo economista, questo primo significato della dichiarazione di vittoria di
Stigler, alla fine della guerra fredda. Certo è che, se mancassero i mercati
finanziari, sparirebbe anche la materia prima del vostro lavoro di consulenti. Talvolta
i mercati finanziari sono criticati perché instabili: ma è proprio per questo
che voi entrate in campo. E’ meno facile sentire l’utilità della vostra
presenza in annate, come il 2013, dove tre quarti dei mercati mondiali sono
saliti, con una media del 42%, e lo S&P 500, indice principe, è salito del
30%. Altra storia nel 2014: le cose non sono andate così lisce. E anche il 2015
non è cominciato male, con la decisione della Banca Nazionale Elvetica
(ricordate la lezione 112 del 15 gennaio in cui commentavo il ruolo crescente
delle decisioni politiche sugli andamenti dei mercati?).
Alla fine dell’anno, lo S&P 500
è cresciuto di un altro 11%, ma è stato un bilancio finale dopo un anno pieno
di trappole. La discesa dello 0,4% relativa al mese di dicembre 2014 è stata la
prima nel mese di fine anno, a partire dal 2007. Eppure solo poco prima, il 29
dicembre, lo S&P 500 aveva chiuso con un record, il 53° dell’anno. L’indice
è riuscito a riprendersi dopo ben cinque discese di almeno il 4% nel corso del
2014. E tuttavia è la prima volta nel corso di questo secolo che lo S&P 500
ha, nel corso dell’anno, più di tre discese di tale ampiezza. E questa non è
stata l’unica causa di dolori e paure, ammortizzabili solo se si ha un buon
consulente che ci mette l’animo in pace. La pace del nostro animo è anche il
bene, alla lunga del nostro portafoglio: non ci sono solo gli immobili per
metterci l’animo in pace.
Molte sono state le insidie: una
persona avrebbe potuto avere molti titoli energetici mentre il petrolio crollava.
O qualcosa a che fare con la Russia e l’Est europeo mentre il rublo era in
caduta libera.
Oppure avrebbe potuto impaurirsi
durante le repentine e violente ondate di vendite di gennaio, ottobre e
dicembre (alti e bassi: la vecchia storia dei bassi che fanno più male del bene
degli alti!). Ecco che il consulente era al vostro fianco, para-fulmine nei
confronti di azioni impulsive, e angelo protettore verso paure e rimpianti,
custode di una buona diversificazione. E tuttavia c’è un altro senso
dell’affermazione circa la vittoria dell’università di Chicago, un senso che è
più sottile, e riguarda proprio un aspetto specifico della vostra attività.
A Chicago, per molti anni, ha
insegnato Ronald Coase, premio Nobel per l’economia nel 1991 (morto a 102 anni
il 2 settembre 2013). Quale è il suo contributo fondamentale? Già nel corso
degli anni Trenta egli aveva spiegato lo svantaggio consistente nel costruire
uno stato funzionante come un’unica grande azienda, quella cioè che
corrisponderebbe a un’entità socialista perfetta, priva di padroni. E, nello
stesso tempo, Coase mostrò che, all’estremo opposto, sarebbe stato altrettanto
svantaggioso non avere né aziende né organizzazioni.
Provate a immaginare la produzione
di beni e servizi come il risultato di un temporaneo convergere su progetti da
parte di operatori indipendenti, singoli lavoratori autonomi (immaginiamo,
oggi, una sorta di professionisti forniti ciascuno di un suo libro IVA). Le
cose sarebbero macchinose perché, per come è fatta la maggioranza degli uomini,
ci sarebbero voluti tempo e energie psicologiche per mettersi d’accordo in
vista di un piano comune. Ragion per cui il mondo che ci circonda si ferma, di
fatto, a una via di mezzo. Come potete vedere ogni giorno, anche se in forme
diverse, lavoratori autonomi e organizzazioni interagiscono e si mescolano con
equilibri diversi in qualsiasi paese capitalista.
Come mai? Perché si creano, in
contesti differenti, miscele diverse tra questi due opposti “modelli ideali”
che non si sono mai realizzati: né c’è stata una singola fabbrica centrale, in
assenza di mercato, in teorici paesi ultra-socialisti, né c’è stata
l’interazione di molti atomi individuali, in assenza di organizzazioni, in
teorici paesi ultra-capitalisti. Come mai non funzioniamo soltanto mediante
singoli operatori economici che collaborano ogni volta in vista di progetti
complessi, per poi riaggregarsi nuovamente, ma in modi diversi? Come mai
vediamo, di fatto, intorno a noi, delle isole (le aziende) navigare nel libero
e tumultuoso, comunque sfidante, mare del mercato? Perché il mercato si congela
in organizzazioni relativamente fisse e stabili?
La risposta a queste domande sta
nella natura umana, nel come ci ha costruito l’evoluzione naturale della nostra
specie. Se fossimo degli angeli perfetti, dotati di menti superiori e di
comprensioni reciproche immediate, potremmo avvicinarci all’ideale di società
in cui persone diverse collaborano volta a volta a progetti diversi, su basi
volontarie e accordi tra pari, senza che nessuno comandi agli altri. Purtroppo
l’uomo non è fatto così (ma, per voi, questo è un bene!). E’ dotato d’intuizioni
fuorvianti nel pensiero, ed è mosso da emozioni che talvolta gli impediscono di
capire bene se stesso e di interagire con gli altri. Questi limiti, cognitivi e
emotivi, sono stati riuniti da Coase sotto un termine-ombrello: “costi di
transazione”. Sono dei costi nel senso che agiscono come granelli di sabbia
negli ingranaggi che frenano gli ipotetici mercati perfetti. Sono dei costi
riconducibili ai nostri modi di funzionare: per esempio introdurre il denaro ed
eliminare il baratto semplifica le transazioni commerciali, in quanto non
dobbiamo tenere memoria di tutti i baratti. Il baratto prevede scambi che
possono avvenire esclusivamente tra persone che desiderano acquistare l’una ciò
che l’altra ha da vendere, e quindi gli scambi sarebbero complessi da registrare
e memorizzare.
Non siamo angelici per natura. Anzi
siamo talvolta influenzati da un passato immodificabile (rimpianti e sensi di
colpa), egocentrici, emotivi, impulsivi, invidiosi, timorosi e avidi? E allora
che cosa fate voi consulenti, qual è il vostro ruolo? Perché è un bene che voi
proteggiate i risparmi dei vostri clienti da loro stessi? Proprio perché una
delle conseguenze dei limiti che Coase ha etichettato come “costi di
transazione” è la difficoltà a capire come funziona una buona diversificazione
dei risparmi. Forme di differenziazione delle possibilità d’investimento sono
rese possibili solo se siamo in grado di allontanarci da ciò che è noto,
conosciuto, frequentato. Se non ci fossero i costi di transazione, se fossimo
angeli, potremmo gestire personalmente tutto il nostro risparmio. Ma le cose
non stanno così. Siamo fatti male per gestire da noi il nostro risparmio, e non
è facile modificare le persone. Purtroppo quel che ci fa funzionare male come
decisori di investimenti ci fa invece funzionare bene in altri ambiti della
vita. Ecco allora che il vostro ruolo permanente si accompagna, nel 2015, come
ho già detto, a scenari favorevoli per la vostra attività. Mai vi siete mossi
in futuri scenari così ricchi di opportunità!
In conclusione, voi siete una
categoria di professionisti che non esisterebbe non solo in assenza di mercati
finanziari liberi, ma anche in assenza di costi di transazione. I primi
forniscono la vostra materia prima. I secondi giustificano, anzi richiedono la
vostra presenza, angeli custodi dei risparmi (i gestori, quelli che fanno i
prodotti, non bastano!). Potreste forse supporre che insegnando alle persone
l’educazione finanziaria, così che queste acquisiscano non solo i rudimenti
della finanza, ma diventino consapevoli dei nostri limiti cognitivi ed emotivi,
si possa un po’ alla volta fare a meno di voi. Falso. Le cose non funzionano in
modo così semplice (ne ho discusso recentemente con l’economista Filippo
Taddei, responsabile delle politiche del PD in questo ambito: potete trovare la
registrazione su Rairadio1, trasmissione Bianco&Nero del 15 gennaio 2015).
Conoscere i propri limiti non vuol
dire, automaticamente, essere capaci di superarli e diventare esseri
raziocinanti, freddi e distaccati, quasi come esseri angelici (o quasi come
consulenti). Non conoscete forse di persona qualche scienziato cognitivo o
qualche psicoanalista o psicoterapeuta? Non fanno forse le stesse sciocchezze
di tutte le altre persone? Sono forse esenti dai limiti cognitivi ed emotivi di
cui tante volte si è parlato?
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