Ho terminato la lezione precedente parlando dei
prodotti finanziari. Per la verità anche in campo finanziario ci sono delle
vere e proprie innovazioni, non delle costruzioni fatte combinando diversi
sottostanti. E’ noto che gli zero-coupon bond sono nati grazie all’intuizione
di un operatore della Merrill Lynch che voleva offrire alle nonne e alle
vecchie zie della Florida un prodotto “sartoriale” per finanziare gli studi
universitari dei loro piccoli nipoti. Questa innovazione ha contribuito a
creare un nuovo possibile elemento per il mix con cui andranno poi confezionati
i prodotti finanziari finali. Da questi poi, si può risalire alle origini, e si
sa sempre come sono fatti. Al contrario la composizione “materiale” dei
prodotti negli altri campi è quasi sempre nascosta (ricordate l’esempio della
brillantina nella lezione precedente?).
E
tuttavia, anche nella cosmesi, almeno all’inizio, ci sono state delle vere e
proprie innovazioni, come quando il chimico Eugène Schueller ebbe l’idea di
creare un prodotto con cui si poteva stare al sole senza scottarsi. Fu lanciato
nel 1936 con il nome Ambre Solaire, proprio nel primo anno in cui i lavoratori
francesi andarono al mare con le ferie pagate. Un altro grande salto, iniziato
presso la stessa azienda, divenuta multinazionale, alla fine degli anni
Sessanta, fu lo scavalco delle categorie tradizionali. Avvenne quando noti
stilisti si allearono alle case di cosmesi e crearono insieme profumi. Iniziò
un percorso che avrebbe, via via, toccato tutta la cura della persona, fino a
culminare nella fusione in un solo marchio di cosmesi, profumi, vestiario,
occhiali, gioielli e così via (si pensi ad Armani, di cui ho parlato in
Frugalità).
Il
transfer da un settore all’altro divenne più agevole con la tendenza a premiare
i nomi degli autori a scapito dei nomi dei prodotti, com’è successo in altri
campi (arte, cinema, letteratura), dove il “brand” dell’autore che firma il
prodotto prevale sulle sue caratteristiche funzionali.
Un
altro esempio di analogia “costruttiva”: consideriamo i modi con cui si può
proteggere dai virus un computer, cioè una macchina artificiale fatta di
sabbia, petrolio e metalli. In campo medico sono stati sviluppati dei vaccini
per proteggere gli uomini da infezioni virali. Lo stesso si può fare costruendo
dei programmi per computer che abbiano un’analoga funzione protettiva.
Ovviamente, ci sono differenze tra i virus dei computer e i vaccini biologici.
Un virus non provoca la febbre a un computer. E tuttavia la struttura è
analoga: entrambi sono contagiosi, entrambi possono replicarsi una volta che
siano penetrati nella macchina o nell’uomo, entrambi possono causare danni
all’ospite. Se vogliamo quindi costruire un’analogia tra due fenomeni, dobbiamo
trasferire una struttura di conoscenze da un sistema noto (in questo caso i
virus biologici) a un sistema nuovo (in questo caso i virus dei computer).
Purtroppo
le analogie possono anche portarci fuori strada. Scelte politiche di grande
rilevanza sono state influenzate dall’impatto retorico e persuasivo di un’analogia,
dal trasferimento incauto dello stesso schema da una situazione a un’altra.
In
seguito alla Seconda guerra mondiale, i politici statunitensi hanno più volte
giustificato un intervento militare all’estero richiamandosi alla situazione
che era poi drammaticamente sfociata nel terribile conflitto 1940-45. Una
diffusa narrazione della Seconda guerra mondiale racconta di un «cattivo»,
Hitler, e di tentativi di pace, timorosi e incerti, compiuti dal titubante
primo ministro britannico Neville Chamberlain. Solo l’intervento di «eroi»,
come l’inglese Winston Churchill e l’americano Franklin Delano Roosevelt,
riuscì a sistemare le cose. Il copione, che semplifica le vicende storiche
riconducendole a stereotipi, si nutre delle azioni dei cattivi per eccellenza,
Germania e Giappone, di vittime come l’Austria, la Cecoslovacchia e la Polonia,
e infine degli eroici difensori combattenti per un mondo più giusto, Gran
Bretagna e Stati Uniti.
Da
questa narrazione scaturisce il ragionamento ipotetico: «Se la Gran Bretagna e,
poi, gli Stati Uniti non fossero intervenuti, la violenza e l’ingiustizia
avrebbero prevalso». Ecco scattare un’analogia più generale: se non
interveniamo militarmente in questo nuovo scenario, che è simile allo stato di
cose già incontrato in precedenza, l’ingiustizia e la violenza prevarranno.
Un
caso di analogia non creatrice, ma fuorviante, essendo basata soltanto su una
storia bella da credere, condivisa dai più, e dalla forte presa emotiva. Vari
presidenti statunitensi vi hanno fatto ricorso per giustificare interventi
militari in terre lontane: la Corea (Harry Truman, 1950), il Vietnam (Lyndon
Johnson, 1965) il Kuwait e l’Iraq (George Bush senior, 1991) e il nuovo
intervento in Iraq, ancora in corso nel 2014, con esiti forse drammatici (George
W. Bush, 2003).
Ora,
la situazione della Seconda guerra mondiale era complessa, e non è facile fare
paralleli adeguati con i nuovi scenari. Al punto che il ricorso alla consueta
distinzione buoni/cattivi è stato talvolta controproducente. Per esempio, la guerra
in Vietnam era «anche» una continuazione dell’insurrezione anticolonialista
contro i francesi in Indocina, non solo
una lotta contro i comunisti del Nord, più tipica del caso coreano. L’Iran, da
super-cattivo, sta passando in poco tempo dalla parte dei “buoni”, coloro cioè
che combattono contro i guerriglieri sunniti dell’ISIS (Califfato Islamico
dell’Irak e del Levante). Applicare sempre la stessa analogia, con un transfer
meccanico e ripetitivo, si è rivelato efficace per convincere i cittadini sul
piano emotivo.
Era
facile richiamare la solita narrazione per spiegare la situazione ed evocare
sentimenti di giustizia e di soccorso al più debole. E tuttavia, in molti casi,
la forza dell’analogia impediva di capire come stavano veramente le cose. Gli
effetti non furono quelli evocati dal pigro, per quanto spontaneo,
trasferimento di uno schema antico.
Vi
sono, insomma, i trasferimenti innovativi e quelli meccanici e ciechi.
Inoltre,
v’è anche un terzo tipo di meccanismo. Si tratta dei casi in cui, grazie a
un’analogia, si scopre qualcosa di nuovo, ma poi, proprio perché la scoperta si
traduca in un’efficace e seducente novità, l’analogia deve venir nascosta. Per
esempio, trasferire lo stesso gusto alla nocciola può portare all’invenzione di
un cioccolatino “analogo” a una forma di merenda. Ma subito, appena inventato
il nuovo prodotto, dovete nascondere il transfer con una pubblicità adeguata,
che alluda al mondo peccaminoso dei “grandi”. A pochi adulti piace l’idea di
apprezzare la vecchia merenda per bambini. In fondo la stessa operazione era
stata fatta con il transfer dalla brillantina al gel. L’analogia strutturale
tra i due tipi di prodotti era stata poi “coperta” dalla confezione e dalla
retorica pubblicitaria, com’è stato fatto nel trasferire quel gusto alla
nocciola dalla merenda al cioccolatino.
In
questi casi prima si fa un transfer e, immediatamente dopo, lo si nasconde.
Questo stesso meccanismo, rovesciato, governa molti film e romanzi e,
soprattutto, la suspense che li caratterizza. Il prototipo è La spia che venne dal freddo di John Le
Carré (libro del 1963, film del 1965). Qui si evoca lo schema della spia
disillusa e alcolizzata, e lo si trasferisce sul protagonista, all’inizio della
storia. In seguito si racconta il finto smascheramento di una rete di
pagamenti, e lo si traferisce al presunto traditore. Infine l’agognata salvezza
dei protagonisti, Lei+Lui, serve in realtà a sacrificare Lei. Lei è l’unico
personaggio “vero”, e, in un finale commovente, anche Lui decide d’essere un
uomo autentico, non una spia corrotta in un mondo falso. In conclusione, il
film funziona come una matrioska: suggerisce, e poi smonta, prima innescando e
poi distruggendo schemi noti.
Il più
grande problema di un consulente consiste nello spiegare che non sempre è
facile fare i transfer giusti, quelli che conducono a nuove idee. Purtroppo
altre volte, in modo pigro e istintivo, ci accontentiamo di quelli sbagliati.
Ci basiamo su schemi che abbiamo in testa, e che non confrontiamo con la dovuta
attenzione rispetto alle nuove realtà che abbiamo davanti. Altre volte, infine,
costruiamo storie servendoci dei transfer consueti per creare un’atmosfera di
suspense e sorpresa. Poi, quando vengono questi vengono smascherati, si finisce
per mostrare che le cose stanno in tutt’altro modo.
Come
distinguere i transfer produttivi da quelli ingannevoli? Non c’è una regola
semplice. E tuttavia, per solito, quelli ingannevoli, scattano spontanei perché
basati sull’esperienza passata, nostra o di una collettività. In questi casi
dobbiamo diffidare, con la consueta strategia del sospetto/rispetto nei
confronti della realtà delle cose. Si tratta di andare a vedere se ci sono
veramente le condizioni che garantiscono la possibilità di prendere una
decisione basata su un ragionamento analogico. I transfer produttivi, invece,
sono nascosti. Fu solo con fatica che si scoprì che quella crema per merende da
bambini (fissata così nella memoria dei più perché chiamata in origine
Super-crema) celava la possibilità di un trasferimento a un dolce. L’indizio
era stato il consumo, nel privato, da parte di acquirenti non-più bambini,
vagamente vergognosi della fanciullaggine del gusto evocante tempi lontani.
Bastava a quel punto trasferire nel pubblico ciò che era nascosto privato,
mascherando l’analogia.
In
conclusione, diffidiamo dei transfer che facciamo in modo immediato, e andiamo
invece a vedere (dietro e dentro) quelli che sono difficili, chiedendoci perché
lo sono.
Uno
dei più grandi problemi con i clienti è che tendono a fare analogie soltanto sulla
base della loro limitata esperienza passata. Tornerò su questo problema nelle
prossime lezioni.
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