Molti dei vostri clienti non sono più giovani, e una
parte, se non tutto, del portafoglio che vi è stato affidato in gestione
proviene dal lavoro di una vita. Se uno è stato capace di fare i soldi, può
anche pensare di essere in grado di gestirli. Questo ragionamento è basato su
un’analogia: “Dato che è stato difficile metterli da parte, e ho dovuto
superare molte difficoltà … a maggior ragione sarò capace di …”. Nella vostra
relazione con loro dovete superare questa difficoltà, oltre a quella della
diversificazione, di cui Vi ho già parlato più volte.
Il
problema è che le capacità non si trasferiscono facilmente da un campo
all’altro. Dedicherò le prossime due lezioni a quest’argomento.
Ricordate
i due rompi-capo di cui vi ho parlato nelle lezioni precedenti? Sono una
cartina di tornasole di questa difficoltà. A molte persone – spesso quelle
importanti o che si considerano tali - non piacciono i rompi-capo, come le due
prove di Wason. Non li prendono sul serio, e pensano che siano giochetti da
Settimana Enigmistica. Non accettano che le persone possano essere intelligenti
e di successo e, al contempo, avere dei limiti (le più grandi sciocchezze
discendono proprio dal non rendersene conto, ma questa è un’altra storia che ho
già raccontato).
Anche
le persone più intelligenti hanno dei limiti, per il semplice fatto che alcuni
modi di pensare sono comuni a tutti. Gli psicologi evoluzionisti sostengono che
questi modi di pensare, oggi non molto funzionali, sono il risultato di
adattamenti della specie umana ad ambienti di vita differenti, decine di
migliaia di anni fa. Ed è per questo motivo che sono condivisi da tutti gli
appartenenti a una data specie, per esempio quella umana. Non so se gli
psicologi evoluzionisti abbiano ragione, ma qui non è molto rilevante.
Il
punto centrale, al contrario, è che questi limiti si possono superare, con
l’allenamento, ma bisogna prima prenderne atto. Nel corso dei decenni, ho così
imparato a presentare i compiti di ragionamento non come dei test di
intelligenza individuali, volti a misurare le prestazioni di una persona, ma
come dei giochi da fare insieme, meglio se in gruppo. Altrimenti la situazione
può diventare imbarazzante.
Ricordo
una volta che, insieme a Vittorio Girotto e due professori inglesi, presentammo
il compito di selezione nella versione tradizionale a dei fisici, tra cui il
direttore della Sissa di Trieste. Loro puntualmente sbagliarono in cinque minuti,
e ne impiegarono cinquanta per spiegarci perché in realtà non avevano
sbagliato. Questo non è un atteggiamento costruttivo. E’ consigliabile, invece,
prendere atto dei modi di funzionare della nostra mente, e allenarla per
controbattere le sue tendenze naturali, quando queste potrebbero portarci guai.
I
risultati con la versione astratta, e difficile, del compito di selezione,
presentata alle stesse persone che avevano risolto la versione postale, prova
che noi non siamo bravi a fare il transfer. Non riusciamo cioè a trasferire la
soluzione di un problema a un problema analogo, neppure se è formalmente
equivalente. Dal punto di vista dei problemi quotidiani, nel tempo libero e sul
lavoro, il transfer è cruciale. In due sensi: possiamo farlo quando non dovremmo.
E, viceversa, non farlo quando ci condurrebbe a idee nuove.
Un
primo semplice esempio di transfer con effetti positivi: ponete di dover
svitare qualcosa e d’essere senza un cacciavite. Nel cassetto di cucina non c’è
forse un coltello spuntato in cima? Si tratta di uno strumento con un manico,
quindi con una buona presa e a punta piatta, inseribile nella testa della vite.
Potete immaginare di trasferire le proprietà di un cacciavite vero e proprio su
quelle di un coltello spuntato in punta. Il gioco è fatto.
Quando
vi mancano gli attrezzi adatti o le sostituzioni per un guasto potete
domandarvi come funziona ciò di cui avete bisogno: vi manca una cinghia
elastica? Non l’avete? In un noto film, una signora, ufficiale della marina
statunitense, si toglie un indumento intimo elastico, e sostituisce il pezzo
mancante del motore di un sottomarino (Operazione sottoveste, regista Blake
Edwards, 1959). Le analogie sono un’ottima via per risolvere problemi
trasferendo le proprietà di un sistema a un altro sistema. In altri casi il
transfer è più creativo.
Alcuni
decenni fa, quando incominciai a lavorare in una multinazionale della cosmesi,
c’era il problema di inventare prodotti nuovi per gli uomini, un mercato ancora
poco saturo. Invece di creare ex-novo un prodotto per i capelli – non facile,
soprattutto per gli uomini - ci ispirammo alla brillantina, un prodotto storico
che, sul piano industriale, si era iniziato a produrre nella Gran Bretagna
degli anni Trenta. I giovani piloti della RAF, che salvarono i cieli
d’Inghilterra dall’invasione nazista, erano stati affettuosamente chiamati con
il nome del prodotto “Brylcreem Boys” (nel 1999 comparve un film con questo
titolo che, in effetti, fu tradotto in italiano con “Brillantina Boys”).
Tutti
quelli della mia generazione ricordano il Carosello in cui l’ispettore
infallibile, ma completamente calvo, alla fine confessava: “Anch’io ho commesso
un errore, non ho usato brillantina Linetti!” La figura di quel personaggio,
insieme a altri ricordi “storici”, appiccicavano al concetto di brillantina una
patina vecchiotta, legata agli anni Cinquanta. E allora noi riuscimmo a
“trasferire” le proprietà funzionali della brillantina a un prodotto
apparentemente del tutto nuovo, denominato “Gel”, inventando il marchio Studio
Line (la grafica era super-giovane). Si riuscì così a rinnovare una storia di
successo del passato, trasferendola sotto nuove spoglie, al punto tale che
Studio Line finì per fare da ombrello coprendo un’articolata linea di prodotti
(crema, spray, gel, mousse).
Potrei
dilungarmi con tanti altri esempi. In fondo, in termini astratti e generali,
tutto il lavoro consisteva nel fare trasferimenti riusciti, evitando quelli che
avrebbero portato a insuccessi, e nel costruire grappoli di concetti-prodotti
sfruttando analogie all’interno di rassomiglianze di famiglia. La
rassomiglianza di famiglia – di cui per primo parlò il filosofo Wittgenstein -
funziona per le caratteristiche comuni ai vari membri di una famiglia. Si
tratta di somiglianze che non tutti condividono - modi di camminare, taglio del
viso, bocca, orecchie, e così via. E tuttavia si vede subito che i membri fanno
parte della stessa famiglia, perché hanno “qualcosa in comune”.
Le
rassomiglianze di famiglia tra i prodotti vanno costruite. S’inizia cautamente con
un accoppiamento “singolo prodotto-nome”. Se funziona, si trasferiscono le
stesse proprietà da un ambito all’altro, tenendo conto dello sfondo culturale
su cui si lavora. Per esempio, la Francia ha una lunga tradizione
orientaleggiante, legata all’arte e alla letteratura. Basti pensare
all’esotismo di Pierre Loti e di tanti altri romanzieri: l’impero coloniale
aveva collegato Francia e Estremo Oriente. E così quando, a Parigi, decisero di
lanciare anche in Italia il loro primo bagno-schiuma, Obao, che s’ispirava alla
tradizione giapponese dei bagni, da noi sconosciuta ai più, andammo incontro a
molti problemi e l’agenzia di pubblicità non era mai contenta. Il transfer tra
marchio-Giappone-bagno di schiuma non era scattato (il marchio poi scomparve).
In realtà,
quasi tutti i prodotti nei settori dove c’è raramente una vera innovazione
tecnologica, e si lavora sul variegato modo delle apparenze, inventando nomi,
superfici, immagini, allusioni e concetti, vivono di trasferimenti e innesti.
I
prodotti finanziari vengono costruiti allo stesso modo, ricombinando pochi
elementi di base e assemblandoli così da confezionare un prodotto finito a cui,
infine, viene dato un nome. Ma i prodotti finanziari hanno una loro
peculiarità: non riescono mai a svincolarsi dai sottostanti. Se un prodotto va
bene, il suo successo è dovuto al mix degli elementi di cui è formato. Questo è
un punto molto importante che differenzia i prodotti finanziari da tutti gli
altri prodotti. Una differenza che i consulenti non devono dimenticare mai.
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