Il
problema del trasferimento delle conoscenze si collega a quello della lezione
precedente.
Perché è così difficile trasferire le nostre conoscenze da noi al cliente? Per
rispondere a questa domanda vi racconterò l’inizio dei miei studi, quando
lavoravo in Inghilterra con Phil Johnson-Laird.
All’inizio degli anni
Settanta, da Londra comunicavo, con i miei, in Italia, con delle lettere non
incollate sul retro, perché, se lasciate aperte, costava meno spedirle (ai miei
bastava sapere che stavamo bene). E Phil Johnson-Laird osservò che la stessa
regola era allora vigente in Gran Bretagna.
Avemmo così l’idea di
modificare l’esperimento della lezione precedente presentando ai partecipanti
all’esperimento cinque buste comuni, da corrispondenza:
·
una appoggiata sulla faccia
dell’indirizzo con un bollo da 50 lire,
·
una uguale con un bollo da
40 lire,
·
una senza bollo,
·
una rovesciata e chiusa,
·
una rovesciata e
visibilmente aperta.
Le
istruzioni dicevano ai partecipanti d’immaginare di essere un postino che
doveva controllare se le lettere spedite obbedivano a questa regola:
Se una lettera è chiusa,
allora deve essere affrancata con un bollo da 50 lire.
Avevamo due versioni, una
con bolli italiani (50 e 40 lire) e una con bolli inglesi. Il bello è che la
sperimentatrice, Maria Sonino, per accelerare le cose, andava a fare gli
esperimenti nella Commonwealth House (un famoso edificio del 1939 destinato
agli studenti provenienti dai paesi dell’ex-impero britannico). Gli studenti
sapevano bene l’inglese, ma non tutti conoscevano la regola postale utilizzata
nell’esperimento. E tuttavia ne capivano subito il senso, e cioè che per avere
il beneficio della riservatezza, sigillando la lettera, bisognava pagare un po’
di più. E che se uno avesse cercato di ottenere il beneficio senza pagare,
avrebbe imbrogliato le poste. Ebbene, 22 partecipanti su 24 capivano il senso
del compito e lo risolvevano correttamente, in un soffio. La proporzione era
inversa quando si trattava del solito rompicapo con lettere e numeri di cui vi
ho parlato nella lezione precedente.
Phil, inoltre, aveva avuto
un’idea geniale, cioè chiedere alle stesse persone di fare entrambi i compiti,
quello postale e il tradizionale rompicapo astratto, uno dopo l’altro, ruotando
l’ordine di presentazione. E così arrivò la scoperta più importante, e cioè che
non c’era transfer tra i due tipi di problemi, realistico (postino) e astratto
(lettere e numeri). In altre parole, aver risolto prima il compito con la
storia del postino non agevolava la soluzione del compito di selezione,
presentato subito dopo. Questo risultato è importante per il problema che
interessa a noi, e cioè quello del transfer delle conoscenze dal consulente al
cliente. Problema che è al cuore della questione della diversificazione
esperta, su cui sono tornato più volte.
Ed è un risultato
importante anche sul piano teorico. Mark Singley e John Anderson, celebri
studiosi del dipartimento di scienze cognitive migliore al mondo
(Carnegie-Mellon), scrivendo nel 1989 un testo fondamentale sul transfer nella
soluzione di problemi (The transfer of
cognitive skill, Harvard U.P.), citarono questo lavoro come anticipatorio
delle tesi di Tversky e Kahneman. L’incapacità di transfer dimostra che “le
persone non sono molto abili nell’applicare i principi generali della logica e
della statistica (p. 234)”.
In effetti, da un punto di
vista logico-formale, tutte le versioni fin qui raccontate sono identiche. Si
tratta sempre di indicare la combinazione p e non-q come l’unico stato di cose
capace di rendere false ipotesi o regole del tipo se p allora q (o anche p solo
se q, oppure tutti i p sono q). Si tratta però di formulazioni che possono
essere considerate identiche solo nei cristallini mondi della logica. Non lo
sono invece per gli esseri umani in carne ed ossa.
Phil fu presago al
riguardo. Il titolo dell’articolo, Reasoning and a sense of reality,
allude a A sense of reality di
Graham Greene, una raccolta di quattro storie che hanno a che fare non con la
realtà ma con la fantasia, il sogno. Anche nel nostro lavoro non era importante
che la storia fosse “realistica”. Il punto era che nella mente dei lettori la
combinazione p&non-q diventasse rilevante, facile da identificare e
scegliere. Lo era a maggiore ragione se la combinazione p e non-q corrispondeva
a situazioni in cui qualcuno cercava di aggirare una regola.
Nei quarant’anni
successivi, il problema di Wason conobbe numerose varianti. Io stesso, memore
dei miei bambini, quando insegnavo alle elementari, e accortomi che bastava
rendere plausibile una storia in cui si doveva controllare una regola come
quella postale, insegnai a bambini di 6-7 anni una storia sul colore che
dovevano avere certi grembiuli scolatici. Dimostrai, insieme al mio laureando
Mauro Murino, che anche i bambini sono in grado di risolvere il problema,
proprio come avevano fatto gli adulti della Commonwealth House.
Allora ero giovane, e non
sapevo che Reasoning and a sense of reality sarebbe stato il nostro lavoro
più citato, anche tra quelli, numerosissimi, che Johnson-Laird, in quasi mezzo
secolo, avrebbe poi condotto con noi o altri collaboratori.
Mi divertii, ma poi
dimenticai la cosa senza darle troppo peso. Ed è l’unica pubblicazione di cui
non ho una copia cartacea. Per fortuna la British Psychological Society decretò
l’importanza dell’articolo, e si può prelevarlo gratuitamente dalla rete.
La longevità di questo
esperimento, e più in generale del compito di selezione, è rara in psicologia,
una disciplina dai continui cambi di paradigma. La sua fortuna è dovuta al
ruolo del compito di selezione come cartina tornasole per varie teorie. La più
recente, molto in voga, è la teoria evoluzionista, e cioè la psicologia
intrecciata con la teoria dell’evoluzione di Darwin. In questa prospettiva
acquista rilievo la capacità di ragionare bene quando si tratta di smascherare
imbroglioni rispetto a quando si devono risolvere compiti astratti. Nella terza
edizione del manuale di Lance Workman e Will Reader, il più utilizzato come
introduzione alla psicologia evoluzionista (Evolutionary Psychology, Cambridge UP, 2014), molte pagine sono
dedicate a varianti del compito di selezione. Le ricerche condotte servendosi
di questo tipo di compito sono citate per provare la tesi che è stata
l’evoluzione della nostra specie a selezionare la capacità di scovare gli
imbroglioni, soprattutto quando abbiamo a che fare con il bene di una comunità
(proprio come nel caso del postino). Purtroppo oggi si usano le mail
elettroniche, raramente le buste cartacee. E così, almeno nei manuali, la
versione del problema del postino è stata soppiantata da regole circa i livelli
di età (18 anni) e i permessi di bere alcolici (birra). A parte il narcisismo
ferito, nulla è cambiato, nella sostanza.
A ripensarci, quante cose
erano successe, prima dell’idea e delle brevi passeggiate di Maria fino alla
Commonwealth House per fare gli esperimenti. Bastava che uno solo, tra i tanti
capitoli precedenti della storia, si fosse inceppato: se Maria Sonino non mi
avesse regalato il libro di Peter Wason … , se Beniamino Andreatta non ci
avesse permesso di andare a Londra (in congedo dall’ente di ricerca di Trento
da cui allora Maria ed io dipendevamo) … , se un generale turco della Nato non
ci avesse dato i fondi per restarci …, se le regole postali fossero state
diverse …, e così via. Pensai a lungo a questa storia del “se solo …”.
Rimuginandoci sopra (rimuginare è molto importante per farsi venire le idee),
arrivai a un esperimento che racconterò tra due lezioni.
Ora è tempo di terminare
questa lezione: abbiamo mostrato che il problema del transfer è proprio
all’origine della difficoltà di trasferire le conoscenze, e, nel nostro caso
specifico, di fare il consulente in campo finanziario.
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