domenica 29 giugno 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 88 – Come si creano le relazioni tra le persone e le loro idee nei gruppi



Prima di riprendere i contenuti delle due lezioni precedenti per discuterli dal punto di vista delle relazioni e della vita dei gruppi, permettetemi un breve commento sugli esiti delle elezioni europee dal punto di vista di un frequente modo di ragionare da parte dei risparmiatori.


Avrete forse notato che molti commentatori hanno contemporaneamente affermato che l’esito inatteso del voto era imprevedibile, e tuttavia giustificabile (soprattutto quello d’Italia e Francia). Tant’è vero che poi l’hanno spiegato con dovizia di dettagli, ma dopo che era successo. Come mai non l’avevano previsto prima, alla luce degli stessi fattori con cui l’hanno poi spiegato? Un mistero, che però non ci stupisce. Lo vediamo verificarsi da sempre. Gli analisti e i commentatori spiegano gli andamenti dei mercati, ma sono spesso divisi quando si tratta di prevederli (per esempio, di questi tempi, ci si divide sulla tempistica della risalita dei tassi). Purtroppo, nel nostro settore, il ben noto meccanismo del “senno di poi” ha una conseguenza che rende difficile la relazione tra consulente e cliente. Rende cioè difficile spiegare e praticare la diversificazione del portafoglio. Dato che il passato si congela, quello che è successo sembra spiegabile e quindi, a posteriori, “doveva succedere”. E allora perché è necessario ammettere a priori la nostra incapacità di prevedere il futuro, che è la precondizione per diversificare il portafoglio, se quello che poi è successo sembra che inevitabilmente dovesse succedere? 

Questo è forse uno dei più grandi ostacoli nel costruire una relazione equilibrata con il cliente, basata sulla fiducia reciproca. Torno ora alle lezioni dei due giovedì precedenti, lezioni che hanno proprio a che fare proprio con lo spiegare quello che è successo, e che sembra a posteriori facilmente spiegabile. Infatti, nel classico 2 – 4 – 6, la soluzione, una volta trovata, sembra ovvia (come l’esito delle votazioni di cui parlavo prima). 
 
Nei casi finora discussi è lo sperimentatore a stabilire quale sia la regola da trovare. Per così dire, possiamo considerarlo come “la fonte” della regola stessa. Infatti è lui a stabilirla. E tuttavia nella vita, spesso, la fonte non è lo sperimentatore, cioè un’autorità che stabilisce la regola e ci dice se i casi da noi forniti seguono questa regola oppure no. Spesso le regole sono nel mondo. E possono corrispondere all’opinione dei più, oppure no. Talvolta le regole provengono da fonti minoritarie, nel senso che si tratta di regole condivise da una minoranza di persone. A Ginevra, agli inizi degli anni Novanta, decidemmo di studiare la natura e l’influenza della fonte, cioè di chi si pensava avesse stabilito la regola.

Dovevamo quindi trasformare il 2 – 4 – 6 in una storia, una favoletta dotata di senso, con un capo e una coda. Ecco quello che inventammo, usando triplette di città invece che di numeri.

Un’agenzia di viaggi deve preparare una visita a tre città. Si tratta di ripetere il successo di un precedente viaggio organizzato a: Ginevra, Neuchatel e Lucerna. Queste sono tre città svizzere su un lago.
 
La maggioranza degli impiegati dell’agenzia (oppure una minoranza in un’altra condizione sperimentale) è dell’opinione che il successo del precedente viaggio organizzato fosse stato ottenuto grazie al fatto che si trattava di tre città svizzere (oppure di tre città su un lago, o di città sull’acqua, e così via). E’ bene quindi eseguire un sondaggio per decidere quale ipotesi, tra queste, sia quella giusta. Immagina di partecipare a questo sondaggio.

Il compito dei soggetti era duplice. In primo luogo dovevano indicare quella che, secondo loro, era la regola che spiegava il successo ottenuto da una data tripletta di città. Poi dovevano scegliere, in un elenco di quattro triplette di città, quella, secondo loro, più adatta per controllare una regola presentata. E ovviamente si poteva vedere se sceglievano una tripletta che confermava la regola o la confutava (proprio come nel 2 – 4 – 6). Manipolando diverse versioni di questa storia, si poteva così scoprire se era importante che una certa ipotesi fosse sostenuta da una maggioranza o da una minoranza di persone (cioè di impiegati dentro l’agenzia). Si poteva presentare il problema come se ci fosse una sola soluzione possibile, e cioè un motivo unico alla base del successo del viaggio organizzato, oppure più motivi. Infine si poteva accertare se le persone interpellate, immaginando di essere gli impiegati, avrebbero scelto una tripletta di città che era compatibile o incompatibile con l’ipotesi da controllare.  

I risultati hanno mostrato che le persone tendono a scegliere casi che confermano un’ipotesi quando questa è sostenuta da una maggioranza e quando il compito richiede una sola soluzione corretta del problema. Inoltre, quando si domanda alle persone di suggerire una loro ipotesi, la regola indicata tende a conformarsi a quella della maggioranza. Al contrario, le persone cercano di controllare una nuova ipotesi quando quella che è stata loro proposta proviene da una fonte minoritaria, cioè da una minoranza d’impiegati dell’agenzia.

In conclusione, la strategia volta a mettere in crisi l’ipotesi proposta viene adottata solo quando si specifica che ci sono più soluzioni possibili e che quella presentata è stata avanzata solo da una minoranza di persone (cioè di impiegati dell’agenzia di viaggi).
  
Questi risultati sono stati considerati importanti perché mostrano che noi non abbiamo una tendenza stabile e fissa. Non siamo cioè condannati a trovare casi ed esempi che danno ragione a quelle che sono le nostre ipotesi, cioè a confermarle. A certe condizioni riusciamo a liberarci dal nostro spontaneo conformismo e dalla passività rispetto alle opinioni altrui. Talvolta, anche se raramente, non accettiamo - supinamente e pigramente - l’adagio: “è sempre stato fatto così … ”. Rifiutiamo le spiegazioni tradizionali per quello che abbiamo visto succedere in passato. E andiamo in cerca di nuove spiegazioni.

E’ importante saper creare le condizioni per far sì che le persone non siano conformiste e che, al contrario, cerchino nuove ipotesi nel tentativo di mettere in crisi le opinioni degli altri. In particolare, le persone non si conformano a una data ipotesi altrui quando sanno che questa è sostenuta da pochi e che più opinioni sono possibili. Solo allora la creatività e la possibilità di innovazione si mettono in moto. In assenza di queste condizioni le persone tendono a usare strategie di controllo che confermano l’ipotesi loro sottoposta anche se si ha a che fare con storie inserite in scenari realistici, e non con rompicapi matematici come il 2 – 4 – 6 di Peter Wason.

Questi risultati sono stati ripresi dagli studiosi dei gruppi e della formazione delle opinioni. Si tratta della prima prova sperimentale in cui si è misurato il peso di vari fattori che entrano in gioco nel determinare il cosiddetto “pensiero di gruppo”, descritto da Irving Janis negli anni Settanta. Il pensiero di gruppo (o group-think) non è il semplice conformismo, cioè un adeguarsi passivo alle opinioni dei più. E’ qualcosa di più.


Esso consiste nel razionalizzare e nel giustificare il conformismo alle tesi altrui. Il farsene una ragione diventa possibile enfatizzando tutti i casi che confermano l’opinione della maggioranza, o della persona più influente, e trascurando tutto il resto, quasi avessimo un paraocchi. Si tratta di un meccanismo molto dannoso quando si fanno riunioni in un’azienda o in un’organizzazione per affrontare un problema nuovo o una difficoltà imprevista. E quando un nostro cliente sembra “fissato” su un’idea, è così che se l’è formata. Almeno il più delle volte. Bisogna essere pazienti nelle relazioni con i clienti. Proprio perché, quanto meno si conosce una materia, tanto più si tende ad affidarsi alle opinioni altrui in modo acritico.

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