Prima di riprendere i
contenuti delle due lezioni precedenti per discuterli dal punto di vista delle
relazioni e della vita dei gruppi, permettetemi un breve commento sugli esiti
delle elezioni europee dal punto di vista di un frequente modo di ragionare da
parte dei risparmiatori.
Avrete forse notato
che molti commentatori hanno contemporaneamente affermato che l’esito inatteso
del voto era imprevedibile, e tuttavia giustificabile (soprattutto quello
d’Italia e Francia). Tant’è vero che poi l’hanno spiegato con dovizia di
dettagli, ma dopo che era successo. Come mai non l’avevano previsto prima, alla
luce degli stessi fattori con cui l’hanno poi spiegato? Un mistero, che però
non ci stupisce. Lo vediamo verificarsi da sempre. Gli analisti e i
commentatori spiegano gli andamenti dei mercati, ma sono spesso divisi quando
si tratta di prevederli (per esempio, di questi tempi, ci si divide sulla
tempistica della risalita dei tassi). Purtroppo, nel nostro settore, il ben
noto meccanismo del “senno di poi” ha una conseguenza che rende difficile la
relazione tra consulente e cliente. Rende cioè difficile spiegare e praticare
la diversificazione del portafoglio. Dato che il passato si congela, quello che
è successo sembra spiegabile e quindi, a posteriori, “doveva succedere”. E
allora perché è necessario ammettere a priori la nostra incapacità di prevedere
il futuro, che è la precondizione per diversificare il portafoglio, se quello
che poi è successo sembra che inevitabilmente dovesse succedere?
Questo è forse uno
dei più grandi ostacoli nel costruire una relazione equilibrata con il cliente,
basata sulla fiducia reciproca. Torno ora alle lezioni dei due giovedì
precedenti, lezioni che hanno proprio a che fare proprio con lo spiegare quello
che è successo, e che sembra a posteriori facilmente spiegabile. Infatti, nel
classico 2 – 4 – 6, la soluzione, una volta trovata, sembra ovvia (come l’esito
delle votazioni di cui parlavo prima).
Nei casi finora
discussi è lo sperimentatore a stabilire quale sia la regola da trovare. Per
così dire, possiamo considerarlo come “la fonte” della regola stessa. Infatti è
lui a stabilirla. E tuttavia nella vita, spesso, la fonte non è lo
sperimentatore, cioè un’autorità che stabilisce la regola e ci dice se i casi
da noi forniti seguono questa regola oppure no. Spesso le regole sono nel
mondo. E possono corrispondere all’opinione dei più, oppure no. Talvolta le regole
provengono da fonti minoritarie, nel senso che si tratta di regole condivise da
una minoranza di persone. A Ginevra, agli inizi degli anni Novanta, decidemmo
di studiare la natura e l’influenza della fonte, cioè di chi si pensava avesse
stabilito la regola.
Dovevamo quindi
trasformare il 2 – 4 – 6 in una storia, una favoletta dotata di senso, con un
capo e una coda. Ecco quello che inventammo, usando triplette di città invece
che di numeri.
Un’agenzia di
viaggi deve preparare una visita a tre città. Si tratta di ripetere il successo
di un precedente viaggio organizzato a: Ginevra, Neuchatel e Lucerna. Queste
sono tre città svizzere su un lago.
La
maggioranza degli impiegati dell’agenzia (oppure una minoranza in un’altra
condizione sperimentale) è dell’opinione che il successo del precedente viaggio
organizzato fosse stato ottenuto grazie al fatto che si trattava di tre città
svizzere (oppure di tre città su un lago, o di città sull’acqua, e così via).
E’ bene quindi eseguire un sondaggio per decidere quale ipotesi, tra queste,
sia quella giusta. Immagina di partecipare a questo sondaggio.
Il compito
dei soggetti era duplice. In primo luogo dovevano indicare quella che, secondo
loro, era la regola che spiegava il successo ottenuto da una data tripletta di
città. Poi dovevano scegliere, in un elenco di quattro triplette di città,
quella, secondo loro, più adatta per controllare una regola presentata. E
ovviamente si poteva vedere se sceglievano una tripletta che confermava la
regola o la confutava (proprio come nel 2 – 4 – 6). Manipolando diverse
versioni di questa storia, si poteva così scoprire se era importante che una
certa ipotesi fosse sostenuta da una maggioranza o da una minoranza di persone
(cioè di impiegati dentro l’agenzia). Si poteva presentare il problema come se
ci fosse una sola soluzione possibile, e cioè un motivo unico alla base del
successo del viaggio organizzato, oppure più motivi. Infine si poteva accertare
se le persone interpellate, immaginando di essere gli impiegati, avrebbero
scelto una tripletta di città che era compatibile o incompatibile con l’ipotesi
da controllare.
I risultati
hanno mostrato che le persone tendono a scegliere casi che confermano
un’ipotesi quando questa è sostenuta da una maggioranza e quando il compito
richiede una sola soluzione corretta del problema. Inoltre, quando si domanda
alle persone di suggerire una loro ipotesi, la regola indicata tende a
conformarsi a quella della maggioranza. Al contrario, le persone cercano di
controllare una nuova ipotesi quando quella che è stata loro proposta proviene
da una fonte minoritaria, cioè da una minoranza d’impiegati dell’agenzia.
In
conclusione, la strategia volta a mettere in crisi l’ipotesi proposta viene
adottata solo quando si specifica che ci sono più soluzioni possibili e che
quella presentata è stata avanzata solo da una minoranza di persone (cioè di
impiegati dell’agenzia di viaggi).
Questi
risultati sono stati considerati importanti perché mostrano che noi non abbiamo
una tendenza stabile e fissa. Non siamo cioè condannati a trovare casi ed
esempi che danno ragione a quelle che sono le nostre ipotesi, cioè a
confermarle. A certe condizioni riusciamo a liberarci dal nostro spontaneo
conformismo e dalla passività rispetto alle opinioni altrui. Talvolta, anche se
raramente, non accettiamo - supinamente e pigramente - l’adagio: “è sempre
stato fatto così … ”. Rifiutiamo le spiegazioni tradizionali per quello che
abbiamo visto succedere in passato. E andiamo in cerca di nuove spiegazioni.
E’
importante saper creare le condizioni per far sì che le persone non siano
conformiste e che, al contrario, cerchino nuove ipotesi nel tentativo di
mettere in crisi le opinioni degli altri. In particolare, le persone non si
conformano a una data ipotesi altrui quando sanno che questa è sostenuta da
pochi e che più opinioni sono possibili. Solo allora la creatività e la
possibilità di innovazione si mettono in moto. In assenza di queste condizioni
le persone tendono a usare strategie di controllo che confermano l’ipotesi loro
sottoposta anche se si ha a che fare con storie inserite in scenari realistici,
e non con rompicapi matematici come il 2 – 4 – 6 di Peter Wason.
Questi
risultati sono stati ripresi dagli studiosi dei gruppi e della formazione delle
opinioni. Si tratta della prima prova sperimentale in cui si è misurato il peso
di vari fattori che entrano in gioco nel determinare il cosiddetto “pensiero di
gruppo”, descritto da Irving Janis negli anni Settanta. Il pensiero di gruppo
(o group-think) non è il semplice conformismo, cioè un adeguarsi passivo alle
opinioni dei più. E’ qualcosa di più.
Esso
consiste nel razionalizzare e nel giustificare il conformismo alle tesi altrui.
Il farsene una ragione diventa possibile enfatizzando tutti i casi che confermano
l’opinione della maggioranza, o della persona più influente, e trascurando
tutto il resto, quasi avessimo un paraocchi. Si tratta di un meccanismo molto
dannoso quando si fanno riunioni in un’azienda o in un’organizzazione per
affrontare un problema nuovo o una difficoltà imprevista. E quando un nostro
cliente sembra “fissato” su un’idea, è così che se l’è formata. Almeno il più
delle volte. Bisogna essere pazienti nelle relazioni con i clienti. Proprio
perché, quanto meno si conosce una materia, tanto più si tende ad affidarsi
alle opinioni altrui in modo acritico.
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