L’Espresso di questa settimana
(pag. 34) ci propone un articolo di Maurizio Maggi dal titolo “Ricomincio
dal debito” con il quale si illustra ai lettori il pensiero di Lucrezia Reichlin (Docente di Economia
alla London Business School, già Direttore della Ricerca alla BCE dal 2005 al
2006) che propone la rottura del tabù della ristrutturazione del debito
pubblico.
Qualcuno, immagino, avrà fatto un
salto sulla sedia nel leggere l’articolo pensando ovviamente al proprio dossier
titoli nel quale ci sono percentuali non marginali di Bot, Btp, ecc. per i
quali si propone un taglio che andrebbe ad impoverire di punto in bianco una
larga fetta di risparmiatori. Stiamo parlando di una tassa vera e propria ma al
tempo stesso potrebbe costituire una soluzione al problema che sta affliggendo
l’economia occidentale da ben sette anni e in particolar modo gli stati
mediterranei con l’Italia a far da capofila per le dimensioni del suo debito.
L’inaspettatamente eccessivo calo
dell’inflazione può spingere l’economia dei paesi europei a lustri di futura
stagnazione, un male che l’economia giapponese conosce benissimo e che
l’affligge da ben 25 anni. La Reichlin propone anche per la comunità europea
una cura a base di “quantitative easing” sottolineando che l’acquisto dei titoli pubblici da
acquistare dovrebbe essere fatto in proporzione al Pil dei paesi membri andando
a creare, in tal modo, un mercato integrato a livello europeo per i titoli
pubblici che consentirebbe il superamento della correlazione fra rischio
bancario e rischio paese.
La Reichlin precisa comunque che,
sebbene questa crisi eccezionale vada combattuta con misure altrettanto
eccezionali, non ci sia ancora sufficiente consenso politico ad una manovra di
questo tipo. Il voto di maggio ha però evidenziato qualche sgradita crepa nel
sistema e la governance della comunità europea non potrà esimersi dal prenderne
atto disponendo idonee misure atte a un miglioramento della situazione
economica che, se rientrasse, non potrebbe che favorire uno stemperamento degli
attuali (e giustificati) malumori.
L’Italia, nel caso di una
politica di questo tipo, si troverebbe in una situazione di particolare disagio;
il nostro paese ha un debito pubblico di enormi dimensioni, in gran parte
detenuto dal sistema bancario e dagli stessi cittadini. Questo indebitamento è
il frutto di decenni di politiche errate o quantomeno poco lungimiranti; noi
siamo entrati nel tunnel della crisi in una situazione di debolezza strutturale
e, con un’inflazione così bassa e una crescita del Pil sostanzialmente nulla,
l’Italia ha un rischio di sostenibilità estremamente elevato.
Sino ad ora la Bce ha eliminato il rischio estremo ma se ci si
dovesse nuovamente trovare in una situazione di forte tensione nessuno è grado
di prevedere a quali conseguenze si potrebbe arrivare;
l’abbattimento di una parte del debito ridarebbe pertanto linfa alla crescita.
E’ ovvio che aver supposto da
sempre che acquistare obbligazioni, soprattutto titoli governativi, fosse
un’operazione esente da rischi ha creato una distorsione cognitiva.
Naturalmente le regole per una ristrutturazione dovrebbero essere note ex-ante
e questo rappresenta un problema ma pensare che non sia assolutamente possibile
induce a comportamenti distorsivi.
Che cosa fare dunque del debito
esistente e quali regole darsi per il futuro sono i nodi da sciogliere. Per il
momento ci sono proposte, ad esempio,
che prevedono il “perdono” di una parte del debito ereditato ma il tema
centrale resta la sostenibilità dell’euro.
A ciò, aggiungo io, si deve
considerare anche la strada apertasi con il decreto 96717 del dicembre 2012
sull’introduzione delle clausole di azione collettiva (CACs) per i titoli di
stato. Tutte buone ragioni per cominciare a considerare diversamente il rischio
incorporato non solo nelle obbligazioni societarie ma anche quello dei bond
governativi sui quali confidano i risparmiatori di tutto il mondo.
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