Abbiamo visto nelle due lezioni precedenti che il segreto consiste
nello spezzare il problema in sotto-problemi e nel risolverli uno dopo l’altro.
Talvolta ci vuole molta pazienza.
Ricordo bene i primi
tipi di problemi di questo tipo che affrontai molti anni fa. Nel primo caso la
meta consisteva nel raggiungere un livello di diffusione della colorazione dei
capelli fatta dalle donne a casa, e non dal parrucchiere, un livello che fosse
simile a quello dei paesi anglo-sassoni, ad esempio la Gran Bretagna, dove
l’abitudine si era affermata. In tal caso facemmo un programma molto
articolato, non solo e non tanto un piano di comunicazione, ma anche un
progetto “culturale”. Trovammo leve e alleati nelle giornaliste di riviste
femminili, nei parrucchieri, nei media, insomma una strategia articolata nel
grande mondo della colorazione dei capelli e, più in generale, nella
modificazione delle loro apparenze. Ci vollero anni e, alla fine, riuscimmo
perché il raggiungimento di ogni tappa era di sprone all’attacco della tappa
successiva. Il “vero” problema, in questi casi, è isolare e definire bene la
gerarchia e la dimensione di ciascuna tappa in rapporto al traguardo finale. In
questo caso si resta motivati e si
vince.
Un caso analogo fu
quello, all’inizio della mia società, della costruzione di un portafoglio
clienti. E’ un problema che si pone anche a un promotore o a un consulente,
almeno all’inizio della sua carriera. Invece di procurarci dei “clienti” pensai
che dovevamo riuscire a farci affidare delle singole “ricerche”, delle singole commesse nel campo del marketing. Poi, un po’ alla volta,
se avessimo fatto bene, le ricerche si sarebbero trasformate in clienti, più o
meno stabili, comunque ben disposti nei nostri confronti. Feci insomma come
Agassi. Semplificare, ridurre, scomporre!
Il problema teorico generale è
molto interessante: quanto si può spaccare in pezzi un problema pur di renderlo
aggredibile, maneggiabile? Come evitare, suddividendolo, di perdere per strada
le relazioni tra i vari pezzi? In pratica un cliente è la somma dei nostri
incontri con quel cliente o è qualcosa di più? Ovviamente è qualcosa di più, ma
all’inizio lui si farà un’idea di noi sulla base degli incontri, uno dopo
l’altro. In generale, perché un problema (come quello della costruzione di un
portafoglio clienti) sia aggredibile, i pezzi devono essere ridotti a misura
della mente umana e di procedure sequenziali, che funzionano un passo alla
volta. E tuttavia non devono essere ridotti al punto tale da perdere le
relazioni tra un pezzo e l’altro, la visione d’insieme e della meta finale, che
va sempre traguardata finché non è stata raggiunta. La questione mi ronzò per
la testa per anni, fino a quando tre professori di Pisa mi insegnarono a
simulare il problema su computer (se interessati, potete digitare questi
cognomi su Google: Dosi, Marengo e Pasquali, 2000, The structure of problem-solving and the
structure of organizations). Solo allora avevo veramente capito il
rapporto tra motivazione, scomposizione in perdita di un problema complesso
senza perdere per strada le relazioni tra i pezzi, i successi e gli insuccessi.
Oggi, a 14 anni di distanza, questo modo di procedere tramite simulazioni è comune (cfr. Economist,
26 aprile 2014, Mating strategies, pp. 70-72). In fondo gli stessi stress-test
delle banche altro non sono che simulazioni.
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