Tanti e ben
noti sono i motivi per cui la relazione con il cliente è rilevante, sempre più
rilevante. E tuttavia, di questi tempi, c’è un nuovo motivo sempre più
pressante, e tale motivo sposta l’equilibrio, all’interno del famoso triangolo consulente-cliente-portafoglio.
Sposta l’equilibrio verso una concezione delle funzioni del consulente come una
persona che gestisce una relazione, e non tanto e soltanto come un esperto dei
prodotti da mettere in portafoglio. I recenti dati del 2013 confermano questa
tendenza verso un triangolo sempre più sbilanciato, meno equilatero. Un
triangolo scaleno, in cui la relazione diventerà sempre più importante rispetto
a tutti gli altri aspetti coinvolti negli altri due lati del triangolo.
Partiamo da
uno di questi lati, e cioè il lato che unisce il consulente al portafoglio e,
quindi, la capacità dei gestori dei fondi comuni italiani di battere il
benchmark. Diciamo, per semplicità, e in prima approssimazione, che il
benchmark corrisponde a un ETF di quella categoria. Ricordate che, nella
lezione di giovedì 13 febbraio, avevo citato le scelte degli statunitensi nel
corso del 2013: tolti 67 miliardi di dollari dai fondi obbligazionari, messi 21
nei fondi azionari e 141 miliardi negli ETF (cfr. Bloomberg, Lu Wang, 30 dicembre
2013). Ebbene, gli italiani hanno terminato il 2013 trovandosi di fronte a uno
scenario in cui:
- sono a disposizione 5mila fondi circa;
- di questi solo 788 sono di diritto italiano;
- di questi 788 fondi, 388 sono flessibili, e quindi privi di benchmark;
- dei 470 restanti, solo il 45% ha battuto il benchmark;
- la maggioranza, 90% circa, non ha obbligo alcuno, essendo fondi di diritto estero.
Commento di
Gianfranco Ursino (Plus 24, 4.1.14, p. 25):
L’obbligo
di confrontarsi con un benchmark, accolto con favore nel 2000, ha via via
trovato sempre minor consenso tra le società di gestione sulla scia della
manifesta incapacità di batterlo. L’obbligo non è previsto per i fondi di
diritto estero e per tutti i fondi flessibili, motivo in più per spingere le
case di investimento italiane a lanciare quasi esclusivamente fondi domiciliati
in Lussemburgo e Irlanda (in aggiunta alla
maggiore
facilità di applicazione di commissioni).
Questa
riflessione, a seguito del cambiamento di prospettiva rispetto a 13 anni fa, ha
un impatto rilevante sull’immagine del consulente agli occhi del cliente. Il
ruolo di guida del consulente, e cioè la sua relazione con il cliente, si
allarga e diviene sempre più centrale e rilevante. La relazione deve contare
più della gestione del portafoglio!
Il
consulente si trova a dover affrontare tutto l’arco del benessere del cliente,
oltre, soprattutto, a gestire diversificazione e timing. Queste d’altronde si
sono rivelate la variabili cruciali, almeno nell’ultimo decennio.
Tratterò
separatamente diversificazione e timing.
Partiamo
dalla diversificazione. Limitandoci
all’ultimo quinquennio, è evidente il grande spazio e la rilevanza che può
rivestire il ruolo del consulente come “para-fulmine” e diversificatore del
benessere della famiglia media italiana.
Da sempre
l’obiettivo del consulente è stato, almeno tradizionalmente e nella maggioranza
dei casi, la quota non immobiliare del patrimonio del cliente. Ma questa
concezione va riveduta, anzi avrebbe dovuto essere già stata rivista se la
relazione consulente-cliente fosse stata buona ed estesa al “benessere
complessivo”. Pensate agli 8 quinquenni di Warren Buffett e mettetevi nei panni
del risparmiatore medio italiano. La ricchezza totale degli italiani è oggi,
all’inizio del 2014, di circa 8mila miliardi di euro, tenendo conto che il
valore della quota immobiliare tende spesso a venire sovrastimato, dati i tipi
di sondaggi con cui viene valutata. Ora, questa quota è sempre salita di
valore, almeno a valori nominali (se non reali: all’inizio degli anni novanta è
scesa). Più precisamente questo è avvenuto per i primi 7 degli ultimi 8
quinquenni. Nell’ultimo quinquennio è scesa del 10%, anche a valori nominali. E
così la più “cieca” famiglia media italiana, anche lei, purtroppo, ha
cominciato ad accorgersene. Oggi è più povera di cinque anni fa, proprio perché
la componente maggioritaria della ricchezza complessiva delle famiglie è scesa
almeno del 10%. E’ successo qualcosa di simile a quello che è successo al fondo
di Buffett: si pensava che dovesse salire per sempre perché era salito in 7
quinquenni su 8. E invece le cose non sono andate così.
Oggi il
consulente deve tener presente questa realtà, e cercare di convincere il
cliente a fare una diversificazione complessiva del portafoglio. Deve contare
sulla sua buona relazione per intaccare una certezza in passato granitica,
tenendo presente anche la componente immobiliare, soprattutto quando questa è
preponderante.
Tale
attenzione è cruciale anche in considerazione del fatto che il risparmiatore
italiano ha una buona quota di ricchezza media pregressa, cumulata in passato,
ma ha redditi annuali stagnanti. Per esempio, è molto più ricco
patrimonialmente della famiglia media tedesca o britannica, ma ha un reddito
inferiore e tendenzialmente stabile, se non decrescente. Quindi, anche in
funzione della prossima generazione, il consulente deve avere una prospettiva
complessiva e a lungo termine. Deve inoltre prendere in considerazione il fatto
che, per la parte non immobiliare, e cioè circa 3.500 miliardi, abbiamo quasi 1.000
miliardi congelati in depositi bancari e postali. E’ evidente che questa è una
forma più o meno consapevole di investimento, dato che l’ammontare eccede le
necessità del servizio alla quotidianità.
Queste
risorse sono inchiodate, e la loro origine risiede proprio nel non rivolgersi a
un consulente e, di conseguenza, alla scarsa propensione e inclinazione a
diversificare. Tenendo queste somme liquide si pensa che si è aperti a tutte le
possibilità. Il ragionamento tipico è il seguente: ” … per ora questi soldi li
tengo sul conto … poi si vedrà”. Ma questa inerzia non ha nulla a che fare con
la diversificazione. Tale ragionamento discende anche dall’essere paralizzati
dall’incertezza e dal non capire, appunto, che l’incertezza va battuta con la
diversificazione e non con il procrastinare le scelte. Esaurito il tema
(inesauribile) della diversificazione, la prossima settimana ci dedicheremo al
timing, cioè a come, con quali strategie d’entrata e uscita, l’italiano medio
entra e esce dai mercati.
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