Ciò che sta
accadendo in Ucraina in questi giorni è un ulteriore tassello che si aggiunge
al puzzle delle difficoltà che l’Europa sta affrontando.
Non sto
parlando di scenari di guerra, materia su cui lascio disquisire altro tipo di
esperti, ma nel travaglio di questo paese ci possono stare almeno due possibili
turbolenze. La prima è quella di una richiesta esplicita di aiuti finanziari
alla comunità europea che potrebbe essere accolta distraendo una parte di quel
già esiguo arsenale a disposizione della BCE; la seconda è un possibile
assottigliamento del flusso di combustibili che vanno alimentare
sistematicamente le nostre industrie e i consumi energetici dei cittadini
comunitari.
Ma, pur
essendo ottimisti sulla evoluzione di questa vicenda, vorrei soffermarmi sulla
situazione economica della comunità europea nel suo insieme dato che queste
vicende possono influire sugli irrisolti pregressi problemi; ciò che a mio
avviso stona sono i livelli raggiunti dai
mercati azionari e obbligazionari dell’unione alla luce delle osservazioni che mi
accingo a fare.
Vado pertanto
a recuperare, almeno in parte e con un taglio decisamente personale, una
recente analisi di John Mauldin che descrive con crudo realismo i mali che
affliggono l’Europa e le difficoltà che ci sono per superarli.
INFLAZIONE O DEFLAZIONE ?
Partiamo
dall’inflazione, che viene confermata allo 0,8% (in Italia è lo 0,6%) che è un
valore ormai prossimo a una fase deflazionistica. Anche i dati che misurano la
massa monetaria dell’Eurozona (M1, M2, M3) stanno decelerando con continuità,
trend destinato a continuare senza un’azione della BCE, Banca Centrale che
sinora si è ben guardata da seguire l’esempio delle altre autorità centrali che
hanno inondato il mercato di moneta.
Una situazione
di questo tipo (inflazione molto bassa o deflazione) comporta un paio di
problemini non da poco. Il primo consiste nelle difficoltà di ripianamento del
debito non potendo contare su una crescita del PIL che verrebbe fornito da
un’inflazione “positiva”, pur traendo parzialmente beneficio dal suo minor
costo. Quando un paese ha un PIL in calo è pressoché impossibile migliorare il
rapporto debito-PIL e i debiti continuano a crescere … Inoltre una deflazione
vera e propria rischia di schiacciare i debitori (lo stesso vale per le nazioni
indebitate) aumentando il peso reale del debito, effetto descritto da Irving
Fischer negli anni ’30 del secolo scorso.
Il secondo
problema è che la deflazione si accompagna ad un apprezzamento della moneta.
Ciò rende meno competitive le aziende esportatrici proprio nel momento in cui
avere dei saldi commerciali positivi sarebbe particolarmente importante.
In Europa
l’introduzione dell’Euro ha determinato una distribuzione sperequativa degli
effetti monetari creando un boom in alcuni paesi (Germania in testa) e forti
ripercussioni in altri (soprattutto nei paesi mediterranei). Ciò era peraltro
prevedibile non avendo fatto precedere la creazione dell’euro da una
convergenza delle politiche monetarie e fiscali tra i paesi dell’Unione. Ora
procedere ad aggiustamenti è molto più complicato.
Se ci
impantanassimo dunque in una situazione deflazionistica affrontare problemi
come quelli del rientro del debito pubblico, della ricapitalizzazione delle
banche e ovviamente della penetrazione delle merci europee negli altri mercati
sarebbe oltremodo difficile.
I consumatori
europei già ora stanno alla finestra e attendono prezzi più favorevoli per
effettuare spese importanti; l’aspettativa di ulteriori ribassi dei prezzi non
solo favorirebbe il perpetrarsi di questo processo innescando, se non
interrotto, una perversa spirale di non-consumi. Questo in una situazione che
già vede penalizzati i consumi ordinari a causa del grandissimo numero di disoccupati
e sottoccupati che hanno minori risorse a disposizione rispetto al recente
passato.
La BCE nell’ultimo
anno, contrariamente alle altre banche centrali, non solo non ha immesso
liquidità nel sistema per favorire e sostenere i consumi ma addirittura ha
rafforzato il proprio bilancio, situazione determinata dal forte predominio
tedesco storicamente refrattario a politiche espansive che possono produrre una
qualsiasi forma inflativa, anche minima. Ciò ci rende molto simili ai cittadini
giapponesi che convivono ormai da un paio di decenni con la deflazione e non sanno
più che pesci pigliare per invertire la rotta, schiacciati dal peso di un
debito immenso, da una valuta troppo forte e da una popolazione decisamente
avanti con l’età.
LA DIFFICILE CONVIVENZA CON L’EURO
In Europa la
Germania fa storia a sé, avendo provveduto per tempo a riformare il sistema
economico e produttivo, mentre i paesi di tutta la fascia mediterranea più
qualche paese mitteleuropeo si trovano disarmati di fronte alla recessione. La
produttività delle aziende italiane (ma potremmo mettere qualsiasi altro paese
al posto dell’Italia) è in continuo calo e si dovrebbero avviare riforme strutturali
del mercato del lavoro con scarsissime risorse a disposizione e con enormi
costi sociali da presentare ai lavoratori e alle loro famiglie.
Avendo
scaricato la maggior parte del peso della crisi finanziaria e della preservazione
dell’euro sostanzialmente sulle categorie produttive (aziende e lavoratori) si
è dato luogo ad un lento e progressivo logoramento economico, soprattutto nei
paesi della fascia mediterranea. Nell’ultimo decennio la produzione industriale
in Germania è costantemente aumentata a fronte di un altrettanto costante decremento
negli altri paesi europei. Troppe case in Spagna, troppi dipendenti pubblici in
Francia e in Grecia, troppa deindustrializzazione in Italia, ecc. Da una parte
grandi file di lavoratori a spasso o con miseri sussidi, dall’altra la
locomotiva tedesca che continua a garantire uno stato di relativo benessere ai
propri cittadini.
L’euro (e
l’Unione Europea) non stanno funzionando come stava nelle originarie aspettative
dei cittadini comunitari dato che la moneta unica ha dato grandi vantaggi alla
Germania a spese dei paesi periferici (con questo non si vogliono assolvere i
governi di quest’area dalle molte colpe che la poca lungimiranza ed inerzia
hanno provocato) che perdono competitività e mercati illudendosi magari di potercela
fare con le proprie forze. Il problema della competitività non può essere interamente
caricato sulle spalle dei paesi del “club med” in una situazione di già forte
depressione.
Quello che sta
accadendo avviene quando ci sono fra paesi tassi differenti di produttività
uniti da un tasso di cambio fisso. I settori dei beni commerciali di un paese a
maggiore produttività distruggono il settore dei beni commerciali dell’altro
paese a più bassa redditività. Continuando su questa strada i tedeschi continueranno
ad investire nei settori con forte vocazione verso le esportazioni mentre gli altri
saranno costretti a smettere di investire e inesorabilmente finiranno fuori
mercato.
Il sistema
dunque è instabile: allo stato attuale delle cose i tedeschi non intendono
mutare le loro convinzioni e le loro politiche, i governi degli altri paesi non
sembrano in grado di affrontare un serio e doloroso percorso di riforme, le
singole economie restano divergenti e all’interno dell’Unione Europea
cresceranno i movimenti antieuropeisti.
LE RIPERCUSSIONI DEL TAPERING
La diminuzione
della liquidità immessa dalla Federal Reserve nei prossimi mesi potrebbe
peggiorare la situazione dei mercati emergenti, già messi in crisi dai semplici
annunci dell’ex-governatore della Fed la scorsa primavera, e i segnali di
rallentamento stanno giungendo, se non forti, almeno chiari da paesi come
India, Brasile, Turchia, ecc. Ciò potrebbe favorire un nuovo choc e di
conseguenza una nuova crisi?
Se ciò
accadesse, quali armi avrebbe la BCE per supportare l’asfittica crescita
economica comunitaria (ex-Germania, naturalmente)? Siamo in grado di percorrere
una strada di riforme efficaci in tempi stretti prima di cadere nella trappola
deflazionistica?
Mi sembrano
domande piuttosto importanti da porsi, soprattutto quando si ha la
responsabilità di suggerire e consigliare investimenti a una clientela che,
accordandoci la loro fiducia, ci ha responsabilizzato della conservazione e
tutela di un patrimonio che, prima di essere vile denaro, è la loro sicurezza e
il frutto di una vita di sacrifici.
Quanti
risparmiatori sono a conoscenza delle Clausole di Azione Collettiva che i paesi
aderenti all’Ems (Meccanismo Europeo di Stabilità) hanno da tempo adottato e
quali conseguenze potenzialmente negative possono avere sui detentori di titoli
obbligazionari e di titoli del debito pubblico?
Lo studio dei
comportamenti di investimento ci ha edotti sull’atteggiamento dei risparmiatori
che tendono a privilegiare gli asset più domestici, sia azionari che
obbligazionari, che da tempo non sono più rappresentati da quelli strettamente
italiani ma da quelli europei e dunque una situazione come quella descritta
dovrebbe indurre i consulenti e i promotori finanziari a riflettere, assieme ai
loro clienti, sull’opportunità - in caso di sovrappeso - di mantenere inalterati
i loro attuali pesi o piuttosto cercare di perseguire una più razionale
diversificazione tra aree, temi o settori e asset alternativi.
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