Per ridurre “mentalmente”
l’incertezza, si cerca di fare affidamento sul certo e quindi ci si basa su
quanto ci è capitato nel passato. Ma, come si è visto nella lezione precedente,
anche quando il passato prevede un futuro in cui la Fed inizia il “tapering”
(da sue dichiarazioni e sulla base delle aspettative dei più), tale passato
purtroppo non è di facile interpretazione nei suoi sviluppi.
Nel cercare di ricondurre gli eventi esterni sotto il
controllo, siamo inclini a trasformare i segni in cause o previsioni, proprio
come nel caso, discusso nella lezione precedente. Immaginate di essere un
consulente. Le vostre conoscenze possono venire classificate, dal punto di
vista dell’incertezza, in tre categorie.
Certo. Le conoscenze, le
informazioni, i dati di cui siamo personalmente sicuri: la nostra data di
nascita, il nostro numero di telefono, l’anno del referendum monarchia/repubblica,
l’1 settembre, il nostro indirizzo di casa, la data della rivoluzione francese,
e così via. Se un cliente fa domande di questo tipo la risposta è: “Lo so …”.
Irrilevante. Le
informazioni rispetto alle quali potremmo in linea teorica domandarci quale sia
il loro valore esatto o approssimativo ed è evidente che, volendo, con uno
sforzo maggiore o minore, si potrebbe ridurre l’incertezza. Ma si tratta di
quesiti rispetto ai quali è irrilevante conoscere la risposta esatta. Se ci
pongono domande di questo tipo la risposta è: “Non me ne importa”.
Incerto. Ci sono infinite
domande alle quali non sappiamo rispondere con una conoscenza certa ma di cui
c’importa la risposta. Queste sono le tipiche domande che si sente fare un
consulente finanziario. Talvolta importa assai. In questi casi la strategia
migliore consiste nello stimare adeguatamente il grado della nostra incertezza.
Non possiamo essere sicuri
per due motivi: o sarà il futuro a darci una risposta certa; oppure, pur avendo
un ordine di idee, è impossibile disporre con sicurezza della risposta esatta.
Possiamo giungere, al massimo, a definire un intervallo di fiducia, più o meno
ampio, in funzione del grado di fiducia nelle nostre incerte conoscenze. Il
grado di fiducia corrisponde a un livello di probabilità soggettiva (siamo nel
campo dei casi singoli e non delle frequenze).
E si tratta di quesiti per
noi rilevanti e non irrilevanti. Di fronte a domande di questo tipo, non si può
che rispondere: “Vorrei sapere la risposta esatta, ma posso solo stimare un
ordine di grandezza. Penso che con la probabilità del … la risposta caschi
nell’intervallo che va da … a …”. Magari non ci esprimiamo così, ma il concetto
è lo stesso.
A tipologie diverse di
domande, risposte diverse. Ma non siamo simmetrici nei confronti delle tre
tipologie, per ragioni culturali e di educazione. L’aver imparato a dare
risposte a scuola, frequentata per più di un decennio, e aver assistito
continuamente a quiz televisivi e ad altri giochi di società, tendono a farci
sopravvalutare l’importanza della tipologia delle risposte date con certezza.
In realtà, se non in questi scenari particolari, non è così importante
acquisire uno stock di informazioni di cui si può essere proprio certi.
Non sono queste le
informazioni che servono per rispondere alle domande che ci stanno veramente a
cuore. Questa sopravvalutazione può sfociare nell’errore consistente
nell’assimilare in una sola tipologia di “non-certezza” le domande di cui ci
importa poco e quelle di cui nella vita ci importa molto ma di cui non
conosciamo la risposta esatta.
Nel loro caso non è mai
disponibile una soluzione precisa ai nostri dilemmi, nel momento in cui si
pongono (scelgo quel posto di lavoro o no? Faccio un figlio? Compro la casa? Il
prezzo è giusto?).
L’incertezza delle
conoscenze è tipica delle scelte attinenti l’economia e la finanza. E’ quindi
di grande interesse cercare di capire quanto siamo bravi nello stimare l’ordine
di grandezza della nostra ignoranza: un conto è sbagliare molto, un conto è
sbagliare poco.
Ricordo che qui il termine
ignoranza viene usato in senso tecnico: designa l’incapacità di disporre di un
dato certo.
Gli psicologi si servono di
molte tecniche per misurare la precisione del nostro calibro quando si tratta
di valutare in condizioni di incertezza. Per simulare gli scenari propri della
finanza e dell’economia, e crearne versioni sperimentali realistiche,
bisognerebbe saggiare l’incertezza ricorrendo a quesiti di cui solo il futuro
più o meno prossimo fornisce la risposta esatta.
Proprio questo stato di
cose crea le condizioni per il fiorire della consulenza finanziaria. L’Economit
del 28 settembre riporta una tabella (p.161) che raffigura la crescita a
livello mondiale della consulenza finanziaria. Questa è calata, non
sorprendentemente, solo nel 2009.
Dato che la grande
maggioranza dei consulenti non aveva previsto la terribile crisi, questo ha
intaccato la fiducia e ha ridotto la richiesta di consulenza.
Ho scritto “non
sorprendentemente” perché la maggior parte dei clienti non si rende conto che
un consulente finanziario è diverso dagli altri, come ho cercato di illustrare
a lungo nel mio recente saggio PERCHE’ GESTIAMO MALE I NOSTRI RISPARMI.
Malgrado la delusione, dopo
il repentino calo, appena questa è stata smaltita, la richiesta di consulenza
ha ripreso forti incrementi per arrivare a livello mondiale a 50 miliardi di
dollari nel 2012 (cfr. figura).
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