Ho appena letto un articolo
di Matteo Borghi, pubblicato
su L’Intraprendente, che
sintetizza un commento del Wall Street
Journal, basato su un servizio di Bloomberg focalizzato sulla situazione economica italiana.
Sono anni che invito la mia
clientela a porre grande attenzione alle sorti del nostro paese che, a mio
giudizio, si è avvitato in una crisi dalle quale ne può uscire solo avviando
una grande stagione di cambiamenti strutturali e la responsabilità di questo
processo non può che scaturire dalla classe politica.
Questo articolo pone
l’accento sulla posizione assunta in merito a ciò dal governo Letta al quale è
affidato il compito di produrre i tanti auspicati cambiamenti necessari a dare
una svolta al sistema ma in pochi, a mio avviso, hanno la percezione della
criticità della situazione.
Dunque due autorevoli media
accendono i loro fari sulla situazione e le prospettive di casa nostra e ci
lanciano dei messaggi, se non degli inviti, piuttosto preoccupanti.
Mi parrebbe saggio trarre le
dovute considerazioni da questo scritto tanto più che, per tradizione, i
cittadini italiani non solo sono legati a doppio filo alle sorti del paese ma
hanno l’abitudine di mantenere quote importanti dei loro risparmi all’interno
del sistema, soprattutto in asset quali la liquidità e i titoli del debito
pubblico.
Ecco quanto ha scritto
Matteo Borghi:
“Fino ad oggi il
governo Letta ci ha regalato
tasse, spesa pubblica e debito. Oggi ci
manda, in dono, anche il rischio default.
La notizia del
rischio è riportata dal Wall Street Journal Italia
ed è basata su un servizio della televisione economica Bloomberg (di proprietà
dell’attuale sindaco di New York). In studio c’è Jim Bianco – presidente
dell’omonima Bianco research, nota agenzia di
investimenti americana – che commenta il rischio default delle più grandi
economie mondiali. Nonostante il nostro Paese non sia certo la prima di queste
(è la quarta in Europa e la nona al mondo) e nemmeno quella col maggior debito
pubblico a livello assoluto (lo sono gli Stati Uniti), l’Italia ha il maggior numero di cds (credit default swap) al
mondo. Trattasi di strumenti di copertura usati per tutelarsi dal rischio
bancarotta: gli investitori danno una parte dei propri ricavi a un soggetto
terzo che, in caso di fallimento di uno Stato, garantiscono il credito.
Ebbene in Italia, su un debito complessivo di 2.080 miliardi di euro (circa
2.800 miliardi di dollari), i cds ammontano a ben 379,88 miliardi di dollari (279 miliardi di euro). Ovvero
più del doppio della Spagna (177,18 miliardi di $) e della Francia (153,48)
che, con un debito simile al nostro, sono al secondo e terzo posto nella
classifica della presenza di cds. Gli Usa, al contrario, sono al 98° posto: pur
con un debito di quasi 17mila miliardi di dollari i cds ammontano solo a 23
miliardi, appena 1/15
dell’Italia.
Questi dati vogliono
dire solo una cosa: Letta o non Letta gli investitori, specie quelli
internazionali, non si fidano
della capacità del governo italiano
di pagare il proprio debito. Lo ha detto papale papale, nel corso
dell’intervista, lo stesso Bianco: nonostante lo shutdown gli investitori «sono
più preoccupati che un default accada in Italia che non negli Stati Uniti».
Una frase che dovrebbe insegnare qualcosa a tutti i fan della stabilità
e dello spread. Finora chi acquista il debito lo fa,
esclusivamente, perché gli offriamo interessi molto maggiori di quanto non
facciano Stati più sicuri, primo fra tutti la Germania. Ma nessuno si fida
veramente. Le cause non vanno cercate nell’instabilità politica quanto nel
continuo aumento
di debito
pubblico, in un contesto di riduzione del Pil. In un anno (2011-2012) il debito
è passato dal 120,8% al 127% del Pil, oggi viaggiamo già attorno al 133%.
Finché non riusciremo a invertire questo trend, tramite una cura
thatcheriana di drastica riduzione della spesa pubblica, non potremo mai
pensare di recuperare la fiducia degli investitori. E procederemo, a passi
spediti, verso la bancarotta.”
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