In questi giorni, ho avuto modo di leggere non solo il Sole-24Ore, come
tutti i giorni, ma anche il Financial Times e il New York Times. Tutti
s’interrogano sulla data dell’aumento dei tassi USA e, soprattutto, sugli
scenari determinati dalle decisioni dei banchieri centrali (Janet Yellen in
testa). Per esempio, sul Financial Times del 19 dicembre, ci sono lunghi
commenti dei vari esperti sulle diverse possibilità che si aprono e poi, col
passare del tempo, andranno a determinare gli scenari del 2015.
Per un
aspetto il 2015 sarà probabilmente simile agli anni appena trascorsi. Si tratta
della rilevanza e del peso delle decisioni politiche sull’andamento dei mercati
finanziari. Un grafico elaborato dall’Università californiana di Stanford è, in
questo senso, illuminante: arsi della prima impressione, sia nella tendenza a
catalogare le persone in modo da renderle prevedibili.
In
questo grafico è indicato in azzurro, chiaro + scuro, il totale degli eventi
che hanno innescato discese (ancora una volta ricordo la maggior sensibilità
della mente umana alle perdite rispetto a equivalenti guadagni), e, in azzurro
scuro, le discese innescate da decisioni politiche delle banche centrali. Lo
stesso andamento è raffigurato per i guadagni: in giallo + rosso il totale, e
solo in rosso quelli di natura “politica”. La prima annata “speciale” è stata
quella del 2008, l’inizio della crisi, ma l’andazzo è in seguito continuato.
Dal grafico si vede chiaramente come, a partire dal 1980, il peso degli
interventi non sia mai stato storicamente così rilevante. E le conseguenze sono
evidenti già da un indicatore: il rapporto tra le dimensioni del bilancio
delle banche centrali e il PIL. Questo valore ha superato il 50% nel caso del
Giappone, il 25% per gli USA, e il 20% per l’area Euro: sono percentuali
inusitate, almeno rispetto al passato, e sono speculari alle decisioni
“politiche” di cui al grafico precedente. Il grafico, se fosse prolungato fino
al 2015 (l’Università di Stanford l’ha compilato con i dati fino al 2013)
mostrerebbe una curiosa anomalia. I mercati “prezzano” un tasso Fed per fine
2015 allo 0,5% quando la maggioranza dei membri della banca centrale lo stima
tra l’1% e l’1,5% (vedi figura successiva, per un approfondimento cfr. Walter
Riolfi, Sole24Ore, 28.12.14, p. 5). Questa è un’ulteriore dimostrazione della
“psicologia” dei mercati, di questi tempi assai baldanzosa (secondo i guru,
Wall Street crescerà di un altro 10/13%, e l’Europa farà ancor meglio).
Il peso
delle decisioni “politiche” rende molto difficile il lavoro dei gestori. Non
basta il consueto collegamento “andamento economico finanziario ►
andamento dei mercati”. I gestori devono tener conto della variabile intermedia
costituita dalle decisioni politiche: “andamento economico finanziario ► decisioni
politiche ► andamento dei mercati”. La sequenza diventa più complessa.
Dato che le
decisioni politiche sono, per l’appunto, politiche, e quindi determinate da
pochi decisori, esse spostano ulteriormente i fattori rilevanti per gli
andamenti dei mercati all’interno delle menti dei decisori, e non ai semplici
dati economici (anch’essi peraltro determinati in parte dalla psicologia dei
mercati). Questi ultimi sono selezionati, filtrati ed elaborati da parte di chi
decide (con le sue categorie mentali, e con una specifica focalizzazione su una
delle varie possibilità, punto rilevante che approfondirò nel mio prossimo
libro “Sei esercizi facili”, che Cortina Editore pubblicherà in aprile).
In
conclusione, assistiamo a un rafforzamento della deriva psicologica di questo
mondo economico-finanziario, con mia soddisfazione, ma con grandi
preoccupazioni e complessità per i gestori. I gestori nel 2015 non avranno vita
facile, per i motivi già approfonditi da Carlo Benetti e da me nelle lezioni
finali del 2014: azioni relativamente care (il p/e di un S&P a 2.300 punti
sarebbe 18,2 secondo le ultime stime), obbligazioni con rendimenti bassi, quasi
piatti, e mercati emergenti in fibrillazione (soprattutto quelli legati alle
materie prime). E, in sovrappiù, le decisioni dei banchieri centrali e dei
politici (vedi eventuali elezioni in Grecia). Ecco allora entrare in campo lo
scenario 2015 dei consulenti, di cui parlerò nella prossima lezione. Questa è
tutta un’altra storia, speculare a quella dei gestori.
Va infine
tenuto presente che la variabile “psicologica” è resa ricca, complessa e
imprevedibile anche in conseguenza del fatto che non si tratta di una decisione
di una singola persona – di cui col tempo possiamo cogliere la mentalità e lo
stile del pensiero. Si tratta invece di una decisione di gruppo che, in futuro,
farà sintesi di punti di vista diversi, come si vede dal seguente grafico che
indica le previsioni dei singoli membri della Fed.
La tabella
relativa al “federal fund rate” mostra che la previsione media, ricavata dai
“pallini” corrispondenti ai singoli giudizi di ogni banchiere della Fed, è di
una risalita graduale che giungerà, come minimo, al 3,5% alla fine del 2017.
Spesso la tendenza a vedere gli eventi come determinati dalle decisioni dei
singoli protagonisti, come Janet Yellen, ci fa dimenticare la struttura
complessa e pluri-decisionale delle banche centrali (in primis la Fed), e ci
induce a personalizzare il primo dei due grafici riportati in questo pezzo d’apertura
del 2015, attribuendo le “decisioni politiche” solo ai capi delle banche
centrali.
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