Nella lezione precedente ho ricordato come
azioni e obbligazioni abbiano variato in modo decorrelato dal 2009 fino alla
fine del 2013, se prendiamo come riferimento per le azioni l’indice americano
S&P500 e, per le obbligazioni, i titoli del tesoro decennali americani.
Questa “sfasatura” ha caratterizzato anche le crisi del 2001 e del 2008, quando
le obbligazioni hanno fatto da cuscinetto, hanno cioè ammortizzato le discese
violente della maggior parte delle componenti azionarie di un portafoglio
articolato (cfr. Economist, 21 dicembre 2013, p. 98). Ecco i vantaggi di una
buona diversificazione.
Ovviamente lo stimolo monetario della
Federal Reserve non durerà per sempre. E dopo? Dopo ci muoveremo in territori
nuovi, non esplorati prima, e non saremo quindi guidati più che tanto
dall’esperienza passata. Ricorderemo indubbiamente l’anno che è appena
terminato, il 2013, come l’anno delle azioni, anche perché se guardiamo il
rapporto prezzi/utili, vediamo che il numeratore (prezzi) è cresciuto molto più
in fretta del denominatore (utili). Quindi i prezzi sono cresciuti in
proporzione molto più degli utili. E anche questo non durerà per sempre, a meno
d’incappare in una mega-bolla. Sui tempi lunghi, comunque, si torna alle medie
storiche: ma ci vuole molta pazienza! Secondo l’Economist del 21 Dicembre
(p.98), dopo un 2013 anno “per eccellenza” delle azioni, il 2014 potrebbe
riservarci sorprese, dato che il rapporto prezzi/utili, aggiustato per il
ciclo, è di circa 25. Storicamente comprare azioni con un p/e pari o superiore
a 25 non ha dato grandi frutti nel decennio successivo.
Quello che i
consulenti devono ricordare nei loro rapporti con i clienti è il funzionamento
della testa della maggioranza dei clienti, e cioè la loro difficoltà ad
accettare il concetto di diversificazione e, quindi, ad accettare la necessità,
anzi l’opportunità, di rimpianti, almeno per una minoranza delle fette di cui è
costituita la torta del portafoglio.
Molte
misurazioni – facili da fare in finanza perché tutto è quantificabile grazie a
informazioni chiare, almeno in relazione al passato – hanno mostrato che il
comportamento della maggioranza dei clienti, a fronte di variazioni all’interno
di portafogli diversificati, è psicologicamente comprensibile, ma razionalmente
non sempre giustificabile. I titoli su cui il singolo e specifico cliente ha
guadagnato in passato, possono continuare a salire, mentre quelli in perdita
non necessariamente si rifanno. Già Lewellen, Scharlbaum e Lease (1979) avevano
notato la tendenza dei risparmiatori a non diversificare bene, e a non
affidarsi a esperti, tendenza che poi verrà attribuita all’effetto disposizione
(cfr. lezioni precedenti).
Lo studio
classico, il più noto e citato, è stato condotto da Terrence Odean, che ha
esaminato diecimila transizioni di clienti di una famosa casa di brokeraggio
dal 1987 al 1993. Per ogni vendita Odean ha computato la quantità di guadagno o
di perdita arrecata al portafoglio del cliente, scoprendo che quando gli
investitori si disfano dei winner (i titoli che stanno guadagnando), la vendita
rappresenta il 23% dei guadagni totali del portafoglio. Invece le vendite dei
loser (i titoli su cui stanno perdendo) corrispondono soltanto al 15,5% delle
perdite teoriche del portafoglio, cioè di perdite subite sulla carta ma non ancora
realizzate. In conclusione, gli investitori sono per il 50% più inclini a
vendere un winner rispetto a un loser.
L’effetto
disposizione, avendo radici psicologiche e non finanziarie, non è limitato al
comportamento degli investitori in Borsa. Per esempio, i prezzi delle case a
Boston sono saliti di più del 150% dal 1982 al 1989, per poi perdere il 50% nei
successivi quattro anni. Quelli che avevano comprato una casa ai picchi del
mercato, vincolavano l’agenzia a prezzi di vendita più alti, in media di un
terzo, rispetto a coloro che non l’avevano comprata ai picchi. Queste richieste
erano volte a evitare di innescare rimpianti. Chi non era in queste condizioni,
e anzi poteva gioire del presunto orgoglio di un acquisto oculato (fortunato),
suggeriva all’agenzia dei prezzi più realistici. Riusciva così assai più spesso
a portare a termine la vendita della casa. I primi, più o meno consapevolmente,
desideravano evitare il rimpianto, e finivano per tirare per le lunghe. Si
trovavano così spesso costretti a una vendita a un prezzo ancor più basso
rispetto a chi aveva concluso la vendita più rapidamente. Lo stesso sta
avvenendo in questi ultimi anni sul mercato delle case residenziali nella città
dove abito, Venezia, e suppongo in molte altre città italiane.
Questo fenomeno di inerzia psicologica, di
vincolo irrazionale a quello che ci è successo in passato, e che oggi è ormai
immodificabile, risulta evidente dal fatto che i tempi necessari a concludere
una vendita si sono molto allungati. I mercati sono diversi, ma la mente umana
funziona sempre allo stesso modo. E gli ingredienti per fare le ricette sono
sempre i medesimi: rimpianto, gioia, incertezza ed effetto disposizione. Con
questi ingredienti è difficile preparare la torta della diversificazione, ancora
più difficile, se l’abbiamo preparata bene, evitare poi i rimpianti. Attenuarli
è il compito del consulente, se è riuscito a stabilire una buona relazione. La
buona relazione è cruciale: solo lei permette di superare questi ostacoli! Il
ragionamento e la riflessione non sono quasi mai sufficienti. Relazione,
relazione, relazione.
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