Uno dei motivi per cui è talvolta molto vantaggioso affidare i
propri risparmi a un consulente è proprio il fatto che solo così è possibile
evitare la terribile trappola dei rimpianti, che sono poi l’ostacolo più forte
a un’accettazione serena di una strategia di diversificazione. Strategia che, a
sua volta, discende dall’accettazione dell’incertezza del futuro e dalla
necessità di prevenirla.
Provate a immaginare una situazione in cui il vostro cliente
decida, insieme a voi, di investire in un titolo che sembra assai promettente.
Per fare questo deve vendere il titolo A oppure il titolo B, che sono entrambi
già in suo possesso, e che sono stati acquistati nello stesso momento. Nel
frattempo, il titolo A ha guadagnato il 20% da quando è stato comprato. Il
titolo B ha invece perso il 20% da quando è stato comprato. E’ indifferente
vendere uno dei due? Quale dei due il vostro cliente preferirebbe vendere?
Sulla base di quale criterio? Quello che è successo in passato, oppure quello
che succederà in futuro? Insomma un criterio “personale” o un criterio basato
sullo sviluppo dei mercati e di un’analisi comparata di quei due titoli?
Le domande sono qui formulate in modo secco e impersonale, per
evitare che il consulente, preso dal suo orgoglio professionale, coinvolga il
cliente raccontandogli altre informazioni utili per decidere, al di là dei
prezzi (cosa che sarebbe peraltro, nella vita reale, più che plausibile).
Insomma se sapete soltanto che A e B in passato sono, rispettivamente, saliti e
discesi di prezzo, e se la domanda è
proiettata su quello che tende a fare un cliente-tipo, nessun consulente esita
a dare la risposta: la grandissima maggioranza dei clienti agirà secondo il
cosiddetto effetto disposizione. Di conseguenza il cliente-tipo preferisce
vendere A, indipendentemente dalle prospettive future di A e di B, solo cioè
alla luce di quello che è avvenuto a lui, nel suo passato, decidendo in base ai
“suoi” prezzi d’acquisto.
Tutto ciò sembra banale, ma non lo è. Non lo è perché l’effetto
disposizione chiama, a sua volta, in gioco il rimpianto. E’ questa emozione che
farà sì che il cliente venderà più volentieri A. Dell’acquisto di A, come
investitori, siete orgogliosi: avevate fatto la scelta giusta. Se invece vi
trovaste a dover vendere B, inevitabilmente si proverà del rimpianto, innescato
dal fatto che una scelta precedente si è rivelata purtroppo sbagliata.
Orgoglio, rimpianto e speranza, insomma pregiudizi e emozioni, vincolano le
scelte del risparmiatore, se non coadiuvato dal consulente (un consulente
spiegherebbe che è il futuro che conta, il futuro di A e di B, e non il prezzo
d’acquisto di quello specifico cliente).
E la catena purtroppo non è finita. Se provate rimpianto perché
una delle scelte del passato si è rivelata infelice, questo tipo d’emozione
costituisce un grosso ostacolo ad accettare la diversificazione. La strategia
di diversificazione, per funzionare bene, deve contemplare proprio che ci siano
in futuro, all’interno di un portafoglio ben differenziato, variazioni non
correlate. In parole povere che alcuni investimenti vadano meglio di altri. Di
conseguenza la diversificazione implica per definizione rimpianti. Le cose
stanno sempre così? E sempre possibile una diversificazione ottimale? Purtroppo
non sempre.
Le tre grandi fonti di diversificazione sono i mercati monetari,
quelli obbligazionari e quelli azionari, distribuiti per paese e per valute.
Ora alcuni esperti, come Ewen Cameron Watt sul Financial Times di martedì 19
dicembre 2013 (p. 24), temono che in futuro, quando il cosiddetto quantitative
easing cesserà del tutto, (per ora è solo passato da 85 a 75 miliardi
al mese), queste variabili potrebbero perdere nel contempo di valore, come è
successo nel periodo maggio-giugno del 2013. Questo è un punto sottolineato
anche dall’Economist del 30 novembre 2013, in una più ampia analisi degli scarsi
rendimenti degli hedge funds negli ultimi tre anni. L’Economist sostiene che la
programmazione dei computer volta a sfruttare i trend di mercato non funziona
perché le svolte sono determinate da decisioni politiche dei banchieri centrali
e dei governi, e sono quindi imprevedibili in termini di trend e tendenze
“storiche”. Non sappiamo se l’analisi sia corretta, fatto sta che la filosofia
degli hedge da tre anni non ha funzionato.
Ecco una ragione in più per stare
calmi con una buona diversificazione. Ma qui ritorna il paradosso del
rimpianto: anche se il non addetto ai lavori non lo sa, una buona
diversificazione ci mette nelle condizioni di poter provare rimpianti. Vuol
dire che una parte del portafoglio è andata bene, e una è invece andata meno
bene: di qui il rimpianto per non aver puntato di più su quella specifica
componente del portafoglio che è andata meglio. Ma quando sia il comparto delle
obbligazioni che quello delle azioni vanno male, il rimpianto “differenziale”,
basato cioè sulle differenze tra gli andamenti, purtroppo si riduce. Resta la
malinconia, o meglio, il rimpianto per non aver messo tutto il nostro gruzzolo
sul mercato monetario (che, di questi tempi, ben che vada, compensa a stento
l’inflazione). Un’emozione inutile, non costruttiva, e che mina la fiducia in
noi stessi. Solo la relazione con il consulente può salvarci.
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