L’errore mortale di un consulente è proprio saltare alle conclusioni
sulla base di poche informazioni. E’ un errore su tutti i piani: nella gestione
del portafoglio, e nella classificazione del cliente. Lo è a maggior ragione
se, fidandoci di tale classificazione “prematura”, vogliamo farci un’idea delle
reazioni del cliente. Bisogna stare in guardia, ma perché? In questa lezione
cercheremo di vedere il perché.
Il primato del “visibile” fa parte di una strategia
ancora più generale, per la quale Kahneman nel suo recente saggio (2012) ha
inventato l’acronimo WYSIATI, costruito con le iniziali di what you see is all there is: quello
che vedi è tutto quello che c’è. WYSIATI è una sintesi di quello che si è
scoperto sui modi di pensare quotidiani:
Saltare alle conclusioni, sulla base di prove
limitate, è talmente importante per comprendere il pensiero intuitivo, e si
presenta così spesso in questo libro, che userò una brutta e complicata
abbreviazione: WYSIATI.
Poniamo di avere un cliente che, a prima vista ci è
parso irascibile.
In questo caso l’applicazione di WYSIATI è tacita e
immediata:
Tizio si
arrabbia spesso -> Tizio è irascibile.
Perché Tizio
si arrabbia spesso? -> Perché è irascibile!
Dove sta la
sua irascibilità? -> Nel suo carattere.
Qual è la
sede del suo carattere? -> La sua mente.
Perché la
sua mente è fatta così? -> Basta vedere come si comporta.
Come si
comporta? -> Tizio si arrabbia spesso!
Questa sequenza illustra i modi in cui le spiegazioni,
usate o date per presupposte nel corso della vita quotidiana, poggino su una
sorta di strategia di pensiero ingenua, un ragionamento che si mangia la coda.
E’ una strategia tacita, spontanea, in realtà rozza e circolare, come mostra il
susseguirsi degli anelli nella catena argomentativa appena descritta. E’ un
modo semplice e convincente di spiegare le cose, e sembra funzionare bene,
almeno per i più (per un approfondimento, cfr. Legrenzi e Umiltà, 2014).
La fisiognomia e il dualismo ingenuo sono spesso dati
per scontati nella psicologia sociale implicita della quotidianità (cfr. la
lezione precedente). In realtà ci vogliono molte più informazioni per uno
scandaglio anche approssimativo della personalità di una persona. Oggi gli
psicologi si servono delle informazioni che emergono nel corso di lunghi
colloqui, nelle varianti della psicologia clinica, o somministrando questionari
ricchi, volti a registrare come le persone reagiscono, o, infine, raccogliendo
molte risposte nel caso dei test di personalità.
Un’occhiata, anche se sapiente ed esperta, non basta,
come hanno recentemente dimostrato Todorov e Porter (2014). Essi hanno scelto
visi diversi e li hanno fotografati in tante pose. Hanno presentato ai
partecipanti all’esperimento una sola foto di ciascuna faccia, chiedendo quanto
ispirasse fiducia, attrazione, competenza, ma anche quanto la persona con
quella faccia fosse adatta a svolgere un compito.
Riemerge così il problema di Della Porta, già
esaminato nella lezione precedente: lo stesso viso, fotografato in pose
diverse, è giudicato differentemente non solo in base alla sua espressione, ma
anche in rapporto a quel che dovrebbe fare la persona di cui si è visto il viso
(fissare un appuntamento sentimentale, essere selezionata per un posto, fare il
sindaco, e così via.).
Questo risultato esclude definitivamente la
possibilità di inferire da una specifica istantanea di un viso, anche
tranquillo e privo di “passioni”, le caratteristiche della personalità di un
individuo.
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