domenica 7 dicembre 2014

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 109 – I consulenti esperti hanno il colpo d'occhio


I consulenti esperti non sanno bene come sono diventati esperti o, meglio, non sanno spiegare in dettaglio come lo sono diventati. La loro esperienza si è formata con un processo tacito, per accumulazione progressiva. Tant’è vero che se dovessero trasmettere a un collega giovane i fondamentali della loro expertise, il modo più semplice sarebbe portare con se l’apprendista, e mostrargli un poco alla volta di che pasta è fatto il loro lavoro. In questa prospettiva un consulente esperto potrebbe supporre che la tendenza a farsi una prima impressione di una persona appena incontrata sia un’abilità acquisita nel tempo, confrontando l’esito degli incontri iniziali con quello che succede dopo, e affinando così le nostre capacità. Di qui la rapidità del giudizio.

Un recente studio di Cogsdill et al. (2014) mostra che le cose non stanno così. Adottando una metodologia di presentazione di foto e di richiesta di giudizi, come nella ricerca di Willis e Todorov già descritta nella lezione precedente, si scopre che bambini, dai tre ai dieci anni (età media 6 anni), danno dei giudizi rapidi e precisi sul carattere di una persona alla sola vista del suo viso. Non solo, questi giudizi sono in sostanza simili a quelli degli adulti. Viene da domandarsi a che età si sviluppi tale abilità, che si rivela così precoce, o se invece sia addirittura innata. Sembra che l’inferenza immediata dal viso al carattere sia già presente in infanti che sono capaci, in modo sistematico, di distinguere facce aggressive da visi buoni (Mascaro e Csibra, 2012).
L’ipotesi prevalente è che questa capacità sia innata e sia stata selezionata per dotarci di giudizi rapidissimi, atti a discernere il viso di nostra madre e, più in generale, visi di amici e, soprattutto, visi di nemici. In effetti, quando dobbiamo valutare se l’espressione di una persona rivela che lei potrebbe farci del male, dato che esibisce una faccia aggressiva, il tempo di giudizio è ancora più rapido del decimo di secondo necessario per un giudizio più articolato. Bar (et al., 2006) ha provato a presentare facce aggressive e non aggressive, scoprendo che bastano 36 millisecondi per poterle discriminare in modo preciso. Tutto ciò porta acqua al mulino degli psicologi evoluzionisti. Essi pensano che questa capacità faccia parte del nostro patrimonio innato, essendo stata selezionata per adattarci a mondi incerti e pericolosi, quando era letteralmente vitale saper valutare rapidamente le intenzioni ostili di uno sconosciuto (Workman, Reader, 2014, p. 139).
Questa ipotesi è corroborata dalla precoce capacità di interpretazione degli sguardi. Gli infanti di tre mesi sorridono meno quando un adulto non li guarda, e si pensa che si tratti “di un adattamento specifico della specie umana, che è essenziale per lo sviluppo della comprensione degli stati mentali altrui” (Farroni, Csibra, Simion, Johnson, 2002). La precocità della valutazione delle emozioni altrui è stata anche collegata alle funzioni dei neuroni specchio scoperti dal gruppo di Parma di Giacomo Rizzolatti, ma la questione è troppo complessa per questa sede (per un approfondimento, cfr. Roganti e Ricci Bitti, 2012).
Le risposte alla questione iniziale pongono altri interrogativi: si può imparare a diffidare delle prime impressioni, quelle che scattano quasi automaticamente? Qual è il vero carattere della persona che abbiamo davanti? Da molto tempo ci si è posti queste domande.
Nel Sei e Settecento, a Venezia, che allora era il più grande centro editoriale del mondo, i libri più stampati e venduti erano i trattati di fisiognomia (Magli, 1995, 1999). Le persone, allora come oggi, volevano capire il carattere di una persona sulla base delle fattezze, soprattutto del suo viso.
Si trattava di possibili indizi molto utili in un mondo che non era fornito di tutte le informazioni che oggi si possono trovare in rete, per esempio sulla vita delle persone che non conosciamo, e che vogliamo o dobbiamo incontrare. Le ricerche mostrano che questi dati, oggi, sono altrettanto influenti, per farsi un’impressione di uno sconosciuto, di quelli “visivi”, collegati alla prima impressione.
Il peso della prima impressione dipende da quello che intendete fare con una specifica persona. In molti casi, le fattezze del suo viso contano meno della sua esperienza professionale, quando questa è documentata. Questo tipo di documentazione non era facilmente reperibile nel Sei/Settecento. Di qui la speranza che la fisiognomia funzionasse.
La questione venne studiata a lungo, ed emerse subito una difficoltà. Il viso delle persone cambia, in funzione delle circostanze e delle emozioni provocate da uno specifico scenario. Se voi desiderate stabilire il carattere a lungo termine di uno sconosciuto, dovete sottrarre l’impressione transeunte, quella di quel preciso momento, per cercare di identificare la personalità permanente. Magli (1999) racconta, nel suo classico lavoro sulla fisiognomia, come, agli inizi del Seicento, Della Porta affermi che è possibile congetturare il vero carattere di qualcuno soltanto quando il volto "è raffreddato dai movimenti e passioni dell'animo" (Della fisionomia dell'huomo, 1610, 1, 30, 105).
Le passioni furono così escluse dall'indagine fisiognomica: “fissata la forma del viso in un neutro passionale, fuori dalla dimensione del tempo e del divenire, la fisiognomia procede con la ripartizione della sua superficie in aree”. Si cercava di individuare il carattere sottostante rivelato da ogni tratto del viso in assenza di “passioni”, facendo corrispondere ogni dettaglio a una dimensione specifica della personalità di un individuo, osservato in condizioni di tranquillità. Secondo Della Porta, i segni del viso più rivelatori sono quelli intorno agli occhi e alla fronte. Egli ritiene che 'tutto l'uomo stia nella faccia', perché essa è la 'regia della ragione'.
Questo metodo è un po’ artificiale, e non molto utile nel corso della vita quotidiana, quando s’incontra una persona per la prima volta. E’ il tentativo di trovare qualcosa di costante, cui associare una correlazione tra dettagli del viso e tratti di personalità di una persona. Un’idea affascinante, anche perché semplice, che però non funzionava bene. E non può funzionare. Per molto tempo, comunque, si è continuato a crederci e, anche oggi, la psicologia ingenua vi fa spesso riferimento (“ha un viso da persona …”). Se, per esempio, seguite in rete l’edizione del concorso di Miss Italia 2014, vedrete che la giuria e la presentatrice considerano riduttivo limitarsi a valutare le fattezze del corpo. Per un giudizio complessivo, i commenti fanno talvolta riferimento alla presunta corrispondenza tra viso e animo, tale per cui la candidata del Veneto (arrivata seconda) ha un viso acqua e sapone che manifesta la sua schiettezza, onestà, semplicità, bontà e dolcezza. E non si creda che tale operazione ingenua, spontanea e diretta, caratterizzi soltanto la pseudo-psicologia di una trasmissione nazional-popolare.
Un raffinato letterato e saggista, come Alfonso Belardinelli, commenta uno scritto di Tim Parks (2014), riferendosi a una foto di James Joyce:
A me Joyce è antipatico (“Dublinesi” a parte) proprio perché si vede bene sia dall’Ulisse che da quel che ho sentito dire della Veglia di Finnegan, che apparteneva alla categoria degli scrittori dispotici e vampireschi che vogliono i lettori al loro servizio e fanno il possibile per colonizzarli, metterli a lavorare e magari punirli. Veramente questo si capisce perfino dalla faccia di Joyce, ma non voglio spingermi oltre. Dico soltanto: guardatela bene quella faccia, l’articolo di Parks è corredato da una magnifica foto molto parlante.
L’argomento fisiognomico è fallace. Belardinelli lo sa, e vuol fare un’iperbole ricorrendo all’immagine del viso di Joyce come dimostrazione immediata della sua antipatia.
La prova “visibile” è una tipica strategia della quotidianità per “esternalizzare” e condensare un sapere tacito. Tale strategia è efficace perché è innescata proprio dalla visibilità (Legrenzi e Umiltà, 2014, pp. 104-108). La visibilità: che cosa è più visibile di un viso come fonte per attribuire un carattere a una persona, in pochi secondi, come si è visto sopra?
Un ingrediente fondamentale del sapere tacito quotidiano consiste nell’attribuire le azioni di una persona al suo carattere permanente, dando senso e continuità allo stile di vita. La nostra conoscenza sociale tacita si avvale di questa tendenza illusoria consistente nell’individuare cause semplici e nel collocarle dentro la mente (per una rassegna, cfr. Bauer e Baumeister, 2013).
Nel caso delle categorizzazioni sociali, il viso di un’altra persona ci comunica in modo immediato la sua quintessenza.
In sintesi le cose funzionano così:
·         si osserva un viso o un comportamento;
·    lo si descrive come conseguenze di una caratteristica permanente o di un tratto mentale di quella persona (l’essenza di quella persona);
·         si spiegano i comportamenti successivi come effetti di quella caratteristica o di quel tratto.

Questo modo di fare ha il grande vantaggio di spiegare le cose tramite cause semplici, basate su caratteristiche durature, utilizzabili in occasioni diverse. Noi vediamo che una data persona si comporta da egoista o da invidiosa, mentre non vediamo che cosa succede dentro la sua testa, tanto meno vediamo il cervello all’opera. E allora il “visibile” ha bisogno di una gruccia, un supporto su cui ancorarsi per spiegare la continuità dei comportamenti di una persona. Così un bambino potrà dire di un altro: è solitario (non gioca con gli altri), è egoista (non scambia i giocattoli), è generoso (impresta le sue cose), e così via.
Tutte queste proprietà vanno a definire la sua essenza, quella che gli adulti chiameranno carattere. Il “viso” è un caso particolare di questa strategia inconsapevole fondata sul visibile (Legrenzi e Umiltà, 2014).

In conclusione, un bravo consulente sarà cauto nel classificare le persone. Almeno in fase iniziale, di fronte al triangolo cliente-portafoglio-consulente, partirà dall’esame della composizione del portafoglio e, in seguito, lo modulerà in funzione delle caratteristiche e degli obiettivi del cliente.

Nessun commento:

Posta un commento