Il 2 gennaio
2014 vengo a sapere che Warren Buffett, con il suo fondo, nell’ultimo
quinquennio ha avuto una crescita, tutto compreso, di una percentuale non superiore
all’80%. L’indice S&P 500, nello stesso periodo, ha avuto un incremento del
128%. Molte volte, quando illustro tutte le difficoltà che un buon consulente
incontra con un cliente, anche preparato, cercando di spiegare la
diversificazione e tutte le sue conseguenze (che abbiamo visto nelle ultime
lezioni, in primis il rimpianto), viene menzionato il caso di Warren Buffet.
Una sorta di contro-prova ai miei pressanti inviti alla diversificazione?
L’esperto di
Omaha, nel Nebraska, ha cominciato quarant’anni fa e da allora, per ben 7
quinquenni, ha battuto l’indice. Non nell’ultimo quinquennio. Perché viene qui
ricordata l’esperienza di Warren Buffett? Perché lui non diversifica nel senso
tradizionale del termine. Compra quote cospicue di aziende o il controllo di
intere società e scommette sul fatto che, mediamente, quelle società facciano
meglio dell’indice, magari in seguito a interventi nella gestione.
Come si è
visto alla luce dei risultati dell’ultimo quinquennio, non è detto che questo
assunto sia sempre valido, e necessariamente si traduca in una strategia sempre
vincente. Ma ha vinto in ben 7 quinquenni su 8, direte voi. Vi sembra assai
improbabile che una cosa che capita 7 volte su 8 sia successa per tutte queste
volte per puro caso. Vi sembra più opportuno dire che: è molto bravo, tant’è
vero che solo in un caso su 8 non ha battuto l’indice. E tuttavia, invece di
focalizzarvi, a posteriori, sui risultati ottenuti Warren Buffett, provate
a cambiare prospettiva (e cercate
di farla mutare anche ai vostri clienti, se e quando vi assillano con questi
esempi). Proviamo a considerare il caso di Warren Buffett non come un caso
singolo ma come un fondo tra i tanti, seguito da uno dei numerosi gestori
specializzati.
Con una
stima molto prudenziale possiamo dire che negli USA ci sono circa cinquemila
fondi paragonabili al suo. Considerate una sequenza di 8 periodi di tempo,
abbastanza lunghi, per esempio otto anni consecutivi. Ora immaginate di
lanciare una moneta per 8 volte di fila. L’uscita di “testa” corrisponde a un
periodo in cui il gestore ha battuto l’indice, per esempio, relativo a un anno.
Se lanciate molte volte 5mila monete per 8 volte di fila, avrete sui tempi
lunghi 16 casi su 5mila in cui esce “testa” per tutte le otto volte di seguito.
Risultato puramente statistico (anche se questo risultato non è sempre
intuitivo; immaginate di gettare del riso a caso su 5mila piastrelle: ho
trattato a lungo questo esempio nel mio testo sul Risparmio, Mulino 2013).
Quindi, sui tempi lunghi, dovreste aspettarvi, riferendosi a una distribuzione
statistica casuale, che ci siano 16 gestori che riescono a battere l’indice per
otto periodi consecutivi, poniamo otto anni.
Ovviamente è
molto difficile ragionare in questi termini, perché noi vediamo le cose a posteriori,
con il senno di poi, e ci concentriamo sul gestore di successo, quello che
stiamo esaminando, in questo caso Warren Buffett, o quello cui abbiamo affidato
i nostri risparmi. E questo confronto lo faremo ancora una volta a coppie, per
esempio tra un gestore e il benchmark, oppure tra due gestori, e non sullo
sfondo di tutte le possibilità teoriche generate dai 5mila gestori esistenti,
ma a noi sconosciuti. In altre parole, quando facciamo confronti di questo
tipo, ci basiamo su due casi, o comunque su pochi casi. E tuttavia, anche
basandosi su due casi, il confronto tra il fondo di Buffett e il benchmark, non
è il confronto tra due entità omogenee.
Da uno
studio appena pubblicato dal NBER (Cambridge) risulta che Buffett opera sul
mercato con una leva media di 1,6. Questo vuol dire, in parole povere, che 100
dollari investiti muovono titoli per 160 dollari (cfr. PLUS24, 4.1.2014, p.
15). Quindi il suo fondo imbarca più rischio del benchmark (e si spiega così la
differenza, nell’ultimo quinquennio, tra 80% e 128%: la leva amplifica scelte
giuste e scelte sbagliate, i risultati nel corso di quinquenni buoni e nel
corso di quinquenni cattivi). Un consulente deve avere questo argomento pronto, quando i clienti gli ricordano Buffett et
similia. Avere una buona relazione con il cliente implica anche saper
rispondere alle sue argomentazioni.
Se ci fate
caso, il “ragionare a posteriori”, concentrandoci su pochi casi rispetto a
quelli teoricamente possibili, è proprio la stessa strategia che innesca il
rimpianto in un portafoglio che è stato ben diversificato e che,
necessariamente, non è andato bene in una delle sue componenti. E’ una
strategia che giudica ora, in questo momento, il presente e il futuro alla luce
di quello che è successo prima, nel passato. Inoltre, di questo passato, ci si
concentra su alcuni casi, non su tutti i casi che teoricamente sarebbero stati
possibili (spesso ci si concentra su un solo caso: quello che abbiamo sotto gli
occhi!).
Tale modo di
pensare, e quindi di emozionarsi, è reso molto convincente dal fatto che noi,
avendo già diversificati i risparmi, esaminiamo e controlliamo l’andamento una
fetta alla volta, fetta per fetta della torta, con la strategia che viene
chiamata dei “bilanci mentali”. E cioè, così come facciamo nei bilanci
domestici, e in tutte le altre scelte di vita, affrontiamo una cosa alla volta,
come ci insegnavano, in passato, nell’economia domestica o nel fare programmi e
bilanci personali. Il consulente deve avere pazienza di fronte a questa
reazione molto popolare e spontanea. Solo la relazione di fiducia può aiutarlo.
Tornerò su questo argomento nella prossima lezione.
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