Come
mostrerò nella lezione successiva, facendo un bilancio delle prime 150 lezioni,
la diversificazione suggerita dalla teoria del portafoglio di Markowitz va
contro il principio di saggezza quotidiana e del senso comune consistente nel
non rischiare evitando di fare le cose che ci sono poco familiari e note.
In questo caso invece, ed è
un’eccezione nell’ambito della nostra vita quotidiana, con i nostri risparmi
bisogna fare il contrario: affrontare
ciò che percepiamo come pericoloso per abbassare così il rischio reale del
portafoglio nel suo complesso.
C’è un corollario del tentativo errato di
evitare ciò che non conosciamo, e proprio per questo ci appare rischioso. Si
tratta dell’evitare le cose che ci hanno fatto paura in quanto considerate
rischiose. Per evitarle, nel caso degli investimenti, ce ne liberiamo
vendendole. Ecco, nella figura, un esempio da parte di risparmiatori che si
suppone essere maturi, cioè esperti, in un mercato consolidato che raccoglie
molti risparmi. Si tratta dei flussi di uscita/entrata nella prima metà di
ottobre 2015 nel più grande ETF statunitense, lo SPDR S&P 500 ETF. Si sono
rilevate uscite per un miliardo e mezzo da parte degli investitori retail,
proprio nel periodo in cui l’indice si riprendeva dalla terza correzione in 6
anni e mezzo di mercato toro (in settembre era sceso del 2,6%, dopo essere
sceso del 10% in sole 4 giornate in agosto). Proprio per questo le correzioni
sono state rapide e dolorose: la figura ne mostra gli effetti.![]() |
Flussi di entrate uscite dall’ SPDR S&P 500 ETF,
il più grande degli USA, nella prima metà di ottobre 2015.
Fonte: Bloomberg modificata. |
Un altro aspetto
contro-intuitivo, che è collegato alla superbia e all’over-confidence, cioè
all’eccessiva fiducia nei nostri saperi e nelle nostre credenze, consiste nel
credere di capire meglio degli altri come stanno le cose. E magari ne siamo
capaci. E tuttavia non è questo il punto. Il fatto è che il mercato è enorme e
sono le aspettative e credenze dei più a muovere il mercato (ricordate
l’esperimento relativo al “trovare due terzi della media dei numeri indicati da
tutti scegliendo un numero da 0 a 100”, esperimento fatto da Richard
Thaler mettendo in competizione i lettori del Financial Times? Ve lo ho già
raccontato prima dell’estate ed è illustrato in dettaglio nel mio ultimo libro
con Armando Massarenti, La Buona Logica,
Cortina 2015).
Un esempio di questo
fenomeno consistente nel credere di “saperla più lunga degli altri” lo possiamo
trovare nel comportamento degli hedge fund ribassisti. Le posizioni ribassiste
degli hedge, nel mese di luglio 2015, superavano per più del 20% quelle
rialziste, una differenza che non si aveva da gennaio 2009. Quando un hedge va
corto, esso vende le azioni prendendole in prestito, e se poi le azioni non
scendono le deve in seguito ricomprare, per poter chiudere l’operazione. Questo
crea forti rimbalzi, come avvenuto nel marzo 2015, e nel primo quadrimestre
2014.
Si può individuare il ruolo
degli hedge perché le azioni che più rimbalzano sono proprio quelle che erano state
vendute allo scoperto. Come dicevo può essere una strategia comprensibile
perché ci si basa su indicatori che funzionano sui tempi lunghi, ma non si sa
quale sia il momento esatto in cui entrano in azione. Per esempio, se cala il
numero delle azioni che valgono più della media a 50 giorni dello S&P500,
allora questa riduzione viene interpretata dai più come un segnale ribassista.
Nella figura qui riportata sono indicati i tre casi, dal 2007, in cui questo
segnale si è manifestato. Eppure non ha sempre prodotto effetti
immediati.
L’indice S&P500 era
cresciuto, fino a questa estate, da più di 4 anni senza mai deflettere del 10%.
Si tratta di una crescita eccezionale che lo ha reso caro rispetto ai valori
prezzi/utili storici. Ecco il motivo che ha generato in passato le posizioni
ribassiste degli hedge e i forti rimbalzi successivi quando il ribasso previsto
non si è verificato.
I meccanismi che
abbiamo qui commentato – e cioè la diversificazione alla Markowitz e quella
versione dell’over-confidence che è il credere di saperla più lunga degli altri
– creano un fossato tra il lato 2 e il lato 3 del triangolo già commentato
nelle lezioni precedenti.
Come colmare questo
fossato? Dobbiamo fare leva sul passaggio dal lato 3 al lato 1.
Questa
leva può entrare in azione soltanto trasformando la diffidenza e
l’inquietudine nei confronti di qualcosa che è contro-intuitivo in fiducia nei
confronti del consulente. E c’è un solo modo per operare questa trasformazione:
voler bene al vostro cliente. Soprattutto fare in modo che lui senta che gli
volete bene, e così lui vi ricambierà fiducioso. Questa è l’unica formula per
la trasformazione della diffidenza e dell’inquietudine cognitiva in sicurezza
emotiva, grazie alla figura del consulente “affettuoso”, “premuroso”,
“empatico”. E solo in questo modo che si può fare anche il bene del
portafoglio. Si tratta, per così dire, di tornare indietro dal lato 1 al lato
3, creando un feedback benefico per tutti.
Un win-win-win a tre facce:
il cliente, il consulente e il portafoglio:
Nelle prossime lezioni,
dopo la 150° in cui cercherò di tracciare un bilancio delle prime 150 lezioni,
vedremo altre applicazioni di questo meccanismo su cui è basata quella che ho
chiamato la “nuova consulenza”.
Nessun commento:
Posta un commento